Africa, Mandati, Gibuti: jamais, jamais, jamais La seduta si svolge nella calda mattinata parigina, nella sala detta dei Quattro al Quai d’Orsay. V’intervengono Clemenceau e Pichon per la Francia, poiché le conversazioni con Lord Milner per l’Inghilterra si svolgono a parte, con risultati vaghi e fluttuanti circa il Giubaland e le rettifiche di frontiere libiche, e pienamente negativi per quanto riguarda il Somaliland. Pichon è da tempo il Ministro degli Esteri di Clemenceau, e la sua autorità è letteralmente inesistente: egli segue il suo Capo con umile sottomissione, ne accetta i rabbuffi, le lezioni, le spiritosaggini offensive; si lascia a volte trattare come un archivista. Clemenceau non ha una opinione straordinaria del coraggio del suo collega, e non lascia passare occasione senza ricordargli « i Cinesi ». Mais c’est pas les chinois, Pichon! I Cinesi sono quelli davanti ai quali Pichon, raccontano tanti maligni, non avrebbe dato prova di estrema risolutezza nel 1900, quando era Console Generale a Pechino, durante la rivolta dei boxers; le cronache parlate del Quai d’Orsay narrano appunto che quando un gruppo di rivoltosi armati, nel pieno di una tumultuosa sparatoria, circondò la Legazione di Francia, il giovane Pichon divenne difficilmente reperibile a la surface, mentre fu particolarmente facile agli altri funzionari riprendere contatto con lui appena discesero nelle cantine del palazzotto extraterritoriale. Da allora, ogni questione o vicenda che faccia una certa impressione su Pichon è definita chinoise. E Clemenceau ama gridargli, quando lo vede timido o turbato per qualche affare del Dica- 145 IO