LA FIERA DELLE ILLUSIONI già compilato. Contiene tutte le condizioni sulle quali è pieno l’accordo tra noi Alleati. Potete esaminarlo, non discuterlo. Vi diamo dei giorni per presentare delle osservazioni, poi dovrete firmarlo. Questa è la posizione che tutti noi concordemente vi abbiamo fatta: o l’accettate o ve la imporremo. La voce stridula del Tigre, che sgorga sempre come da un bisogno di offendere, di umiliare, di schiacciare gli altri, non ha risuonato nell’immensa sala, non ha avuto eco: è appena arrivata al nemico. Quando Clemenceau ha ordinato a un segretario di presentare il Trattato ai Delegati germanici, ho guardato con repugnanza il volume dai fogli appena cuciti, nel quale non è racchiusa soltanto la condanna della Germania, ma anche quella della mia Italia, esclusa dalla vittoria e tutta imprigionata in tutto il suo mare. Quando il grosso libro cade sul tavolo dei Tedeschi, il rumore che fa mi pare quello di una pietra che chiude un sepolcro. Il Personaggio sta per rispondere. Non si alza in piedi, resta seduto. Clemenceau lo guarda con insolenza; se ne ha in cambio uno sguardo di disprezzo. Brockdorff-Rantzau non apre il Trattato: lo lascia chiuso, non lo tocca, vi depone sopra i guanti, inarca il monocolo e, senza averla domandata, prende la parola. In tedesco! Dov’è il suono lontanissimo di quel suo francese di mondo, vissuto e vellutato, di pochi giorni fa? I suoi gesti cautelati e lenti? Il suo sguardo soltanto è lo stesso, immutabile. Se « un uomo solo che chiede giustizia è un mondo » — lo disse un Francese che odiava gli In- 47