Inghilterra e Ceuta, Spagna e Tangeri li? — Napoli, Maestà. — In poche parole, dice cose precise e succose su Carlo III e azzarda: — « il vostro ultimo Re spagnolo ». — Di lì a qualche istante, afferro a volo l’occasione che passa nella conversazione per offrirgli la mia definizione di quel monarca, e azzardo: « il vostro primo Re italiano ». — Scalea dà il segno accorto di un gradevole sorriso diciamo così italo-spagnuolo, e Alfonso cavalleresca-mente lo raccoglie, lo fa suo ed elargisce una generosa risata che mi rimette a posto. Giovane, alto, magro, caratterizzato dalla estrema distinzione delle grandi razze che si estinguono, i forti denti equini costretti tra le grosse labbra borboniche, le orecchie un po’ allungate, la fronte alta dietro cui si affolla il passato di tutti i soavi o terribili antenati, gli occhi come spaventati dalla visione della prossima storia inesorabile, il Re richiama alla mia mente con insistenza che non riesco ad eludere — ed egli certo non può supporlo — un dramma complesso e misterioso, in cui miseria e nobiltà, decadenza e splendore formano una inscindibile unità, il dramma della mia Italia meridionale, cento anni fa portatrice di storici fati, allorché uccise la vecchia filosofia politica italiana, quella delle piccole monarchie regionali, e generò la nuova, quella del liberalismo democratico. Mentre a sud di Montecassino prendeva consistenza l’ideologia unitaria e acquistava corpo l’idea della libertà e indipendenza di tutta l’Italia, i Borboni vollero regnare — e in quella fine del secolo XVIII tutto il mondo cambiava tutte le idee — su Madrid e su Napoli; e riuscirono solamente a trat- 153