RACCONTI POLITICI DELL’ALTRA PACE stero: — Ne vous effrayez pas, mon ami, c’est pas les Chinois! Questi è il Ministro degli Esteri col quale dob-biamo trattare le nostre questioni almeno formai-mente, perchè in realtà gli è riservato soltanto il compito di occuparsi deH’amministrazione. Clemenceau arriva alla seduta sbuffante, accaldato e insolente come sempre. Pichon lo segue dimesso, servizievole e con le spalle curve: i suoi occhi di grande miope sembrano cercar sempre in basso un oggetto smarrito, smarrito nel folto dei suoi baffi spioventi e molli. Il Tigre è svelto oggi, deciso e brusco: ha l’aria di voler far intendere agli Italiani che non c’è niente da fare: se è per il piacere di incontrarsi, perchè no: ma Africa, per carità! Si comprende subito che siamo stati convocati per essere presi in giro. Tittoni e Theodoli si preparano a un urto. La seduta fra i quattro Delegati si apre in una atmosfera stanca, insipida, falsa e vizza: cento volte i nostri hanno pronunziato questo nome ormai vecchio per l’uso che se n’è fatto — Gibuti, Gibuti, Gibuti —; cento volte hanno fatto ricorso alle medesime formule convenzionali e sterili per poi concluderle con quell’eterno nome in cima, cento volte hanno lasciato cadere la conversazione quando il fatale « mai » stava per arrivare. Cento volte è stata ascoltata la stessa risposta: — C’est tout? C’est pas dróle! — Oggi forse non ci sarà neppure questo rito formale: è troppo tardi, per poter ripetere il cerimoniale dei primi spettacoli, di quando 146