RACCONTI POLITICI DELL’ALTRA PACE giornale, il cui programma e il cui obbiettivo sono quelli di dieci mesi fa: conquistare tutta la vittoria diplomatica. Tittoni mi fa rispondere che egli non ha da chiedere assolutamente nulla, che interroga solo la sua coscienza, e che desidera che il suo collo-quio abbia luogo senza nessun carattere politico di impegno, ma soltanto per dargli modo di farci conoscere come la nuova Delegazione ritiene che stiano le cose. Tittoni mi riceve, facendomi un quadro desolato della situazione: il governo dimissionario ha lasciato i nostri interessi adriatici in stato lacrimevole, e peggio ancora quelli africani: tutto è pericolante o compromesso, prestigio e posizioni specifiche, amicizie e carte del giuoco: tutte le debolezze sono state scoperte di fronte al mondo, alcuni strumenti di lotta si sono spezzati nelle nostre mani e sono addirittura passati in mani altrui; abbiamo contro grandi e piccoli, qualcuno forse ci ama, ma nessuno ci teme; il Paese non è disposto a nuovi eroismi, nè a nuovi sacrifici, vuol vivere in pace e risparmiarsi e ricostruirsi, abbandonare i sogni di grandezza e rifare la propria economia agricola e industriale sfiancata dalla lunga guerra che ci colloca oggi alle dipendenze dei rifornimenti alimentari anglo-fran-cesi. Bisognerà venire a patti con la Jugoslavia e « arrangiarsi », a patti con l’Inghilterra e con la Francia per i compensi africani, e ingoiare molti bocconi amari: l’essenziale è di salvare la dignità. — Tutto da rifare. Ma quando? Per ora non ci sono che macerie — continua Tittoni — e sulle mace- 136