RECUPERO DI ITALIANI SPERDUTI NEL MONDO andare senza di me. — Mio padre non può far nulla —. Intervengono i rappresentanti del Commissariato d’Emigrazione e del Consolato « neviorchese », ed esaminano il caso, che poi sarà risolto quasi sempre con ripiego e inganno, con pena e corruzione. Tanto, quel padre e quel figlio erano venuti al mondo per scivolare insieme verso l’ignoto, per affondare insieme nell’abisso dove la loro nazionalità si annullerà in pochi anni. Insieme, tenendosi per mano e guardandosi intorno sospettosi, come se stessero per essere aggrediti dai nemici di tutta la loro esistenza, si calano nella stiva puzzolente. Mio padre, quasi biondo, giovanile ed elegante, resiste alla immensa pietà che pure potrebbe scoraggiarlo, e ricomincia a dire le solite parole terribili per chi le ascolta, parole che decidono destini umani: — Tu hai il tracoma e resti al paese, — tu stai bene con gli occhi e vai in America —. Nelle albe pesanti e flaccide di Napoli, tra i clamori della stazione, i sibili dei piroscafi, l’urlare dei facchini e lo stridore delle rotaie, i treni della provincia scaricano nella grande Piazza Garibaldi i gruppi provenienti dai monti salernitani, avellinesi, calabresi. Interminabili colonne grigie attraversano le tristi vie tortuose e umide della vecchissima città angioina, sfociano nell’imbarcatoio dell’immenso porto aragonese, protetto dalla nostra leggiadra Im-macolatella di marmo bianco, infantile e allegra, sull’entrata della barocchetta dogana spagnuola del ’600. Le « torme », come le chiamano gli agenti e i '<■ vettori » di Compagnie, passano una dietro l’al- 295