FORTUNOSO SALVATAGGIO DELL'INDIPENDENZA ALBANESE Nell’afoso pomeriggio di fine aprile, già l’aria co-mincia a farsi di piombo e la vita della città araba si appesantisce e s’impigrisce. L’elegante e insinuan-te principotto malissoro, educato a Parigi, vestito a Londra e accreditato a Roma, mi parla un po’ in italiano, un po’ in inglese e un po’ in francese: veramente equanime. L’abbondanza, la varietà e la qualità pittorica della sua facondia non mi usciran-no facilmente dalla memoria. L’educazione è palese-mente quasi perfetta, il bel viso aperto di monta* naro aristocratico è forte e simpatico, e la sua ascendenza mi è nota come indubbiamente illustre. Parla senza dare il minimo segno di stanchezza, per oltre due ore: ore serrate, perentorie, massicce, di rivoluzioni abortite, di cattolici e ortodossi, di toschi e mirditi, di epiroti e montenegrini, di vecchi pascià e di giovani patrioti, di bande armate e di banche straniere, di influenze internazionali e di sotterranei movimenti regionali, insomma di Albania passata presente e futura. Che vuole? Il solito aiuto dall’Italia: armi e milioni, con cui fare un’altra rivoluzione, naturalmente tutta in favore nostro, per preparare un regime fedele a Roma fascista. Da quanti balcanici, levantini ed orientali sento rifarmi, io capo missione in questo mirabile crocevia del Mediterraneo, gli stessi discorsi, le stesse offerte e le stesse domande: armi e milioni. Ma lui, il principe malissoro, ha parlato con accento persuasivo, con la fiamma calda di sentimento albanese, con visione ampia del destino del suo Paese. Mi pare che merita di essere 81 6