Aprica, Mandati, Gibuti : jamais, jamais, jamais. Lo ammonisco a non fare della retorica politica, eh’è la peggiore di tutte le retoriche, e gli ricordo con infinita soddisfazione che, se noi siamo oggi indeboliti dallo sforzo troppo grande sopportato, avremo però sulla Francia un vantaggio inestimabile, dopo questa guerra, un vantaggio storico, di cui solo l’avvenire potrà stabilire la enorme portata: cioè noi usciamo dal conflitto avendo distrutto il nostro secolare nemico — l’impero austro-ungarico — e la sua Francia che oggi si sente tanto sicura di sè, tra qualche anno avrà ancora di fronte la stessa Germania di ieri, assetata di giustizia, stracarica di forza, colma di Tedeschi, — Oui, mais nous empêcherons ça moyennant l’occupation gra-duelle du Rhin... —. Sì, si, impeditelo, se potete, poveri Francesi troppo presto dimentichi che c’è voluta quasi tutta l’Europa, per tirarvi vivi dalle mani della Germania. Verrà la nuova storia e forse non sarà « graduelle ». A Roma, trovo il disorientamento politico al suo acme. Con Orlando e Sonnino — questa è la sintesi che faccio con me stesso — se ne vanno i due responsabili principali del fallimento della nostra pace, e fin qui va benissimo. Ma se ne vanno anche gli ultimi due uomini della guerra, della dichiarazione di guerra, dell’interventismo, di tutto il nostro programma ideale che si riassume nell’atto con cui l’Italia è entrata spontaneamente in guerra, e questa liquidazione definitiva degli ultimi due rappresentanti di quel complesso di pensieri e di sentimenti del 1915 mi pare una jattura, un annun- 131