BENESCH E IL NAUFRAGIO ADRIATICO trario, e dice che ci buttiamo avanti senza garanzie. Un giorno grida a Bissolati: — Senti, vecchio mio, finche dura la nostra guerra con l’Austria, io questi sudditi di Francesco Giuseppe vorrei trattarli in generale come nemici. Poi si vedrà, dopo la vittoria. Prima vinciamo, ti pare? Vogliamo prima vincere, e dopo potremo scegliere meglio gli amici —. Ma lo spirito del Patto di Roma invade rapidamente la politica italiana. Quasi tutti ci credono, lo coltivano, lo sviluppano: alcuni addirittura lo venerano. Certo, questa atmosfera romantica da 1848 fa buona presa sugli anziani. Tra i fedeli del Patto sono miei carissimi amici, nazionalisti, repubblicani, cattolici, liberali: e molti ufficiali anche. L’intelligente Llavacek, il boemo che farà da legame tra il nostro Comando Supremo e il Comitato rivoluzionario degli eredi dell’Austria costituitosi ufficialmente a Parigi e con una sede a Roma, è egli stesso impressionato e stupito da questa facilità con cui gli Italiani mettono sul binario che porta alla futura pace un carrello stracarico di interessi non nostri : quello, in sostanza, della spartizione della vittoria tra noi e gran parte dei nostri avversari diretti. Llavacek! quando egli, ridendo fortissimo e ingurgitando birra, mi dice: — fa va, ga va, mon cher ennemi — questa sua spiritosaggine non mi piace affatto. In-somma: dove finisce la nostra inimicizia e dove comincia la nostra amicizia con tutta questa gente? La imprecisione di questo confine politico e la sua quotidiana fluttuazione territoriale mi turbano profondamente. Ho l’impressione chiara e tenace che 57