RACCONTI POLITICI DELL’ALTRA PACE la materia prima di cui è fatto il Patto di Roma sia di prim’ordine: per aiutare il franamento interno dell’Austria, per dilatare la funzione dell’Italia che diverrebbe così veramente liberatrice delle varie genti sottoposte all’impero oltre che della sua propria gente, e sopratutto per impedire nel dopoguerra il costituirsi di una Federazione danubiana che potrebbe essere anti-italiana. Ma chi sta impastando questa nobile e non facilmente maneggiabile materia prima, sta anche rovinandola, confondendola, imbastardendola. Non abbiamo nè la tecnica nè gli strumenti. Apparentemente dietro agli uomini del Patto di Roma, ma in realtà in testa a tutti, è comparso Edoardo Benesch, giovanissimo capo, spirito ardente rivoluzionario a Praga, liberale a Roma, conservatore a Parigi, imperialista a Belgrado, antifrancese a Roma, antinglese a Parigi, antitaliano forse dovunque. È piccolo e basso, magro e sano, taciturno e autorevole, serissimo e cortese. Parla poco, ma rapidamente persuasivo. È accolto negli ambienti ufficiali italiani come un fratello. La sua pacata e fredda eloquenza si fa calorosa e ansiosa quando accenna alla sua patria, nuova e futura: tutta la sua esistenza brucia di questo amore a distanza. Ma quando gli si domanda di assegnarle i confini ipotetici con un bel lapis rosso, a questa sua patria sprofondata nel sogno, su una delle carte dell’Austria-Ungheria che frequentemente gli facciamo scivolare davanti affinchè si accomodi e circoscriva a suo piacere, allora non c’è verso di tiragli fuori quello che pensa. Pru-