blica era sempre stata ed era affezionatissima della illustrissima serenità vostra, e che esso faria ottimo ufficio con li suoi signori,e che conosceva che io dicevo il vero, perchè i Cesarei avevano instalo perchè il governo del magistrato loro dei ventuno si riducesse a dieci, per poter meglio a’suoi voleri dispouere di quello stato, e che la maggior parte se ne avvedevano; pure che tra dieci giorni si vedrebbe la volontà di quella città, nel qual tempo si aveva a creare il nuovo magistrato che ha ad entrare alli dieci di agosto. Io gli dissi, andando più innanzi, che la certa loro sicurtà saria l’accostarsi alla lega, la quale mai non li abbandonerebbe; ove che vedono che li Cesarei farebbono peggio agli amici che alli inimici. Mi rispose che il sospetto di questi signori Fiorentini era stato cagione che da prima non entrassero in essa, e che ora essendo Cesare per venire di prossimo e potente, ed avendo fatto tanto per lui, sarebbe loro vergogna il far mutazione. Gli replicai che questo anzi sarebbe argomento d’immortal gloria, che per la libertà loro e di tutta Italia avessero posposta l’amicizia anzi la servitù che avevano con Cesare. Si restrinse, e disse che teneva certissimo, che sebbene li suoi signori non fossero per mancare a Cesare nelle cose convenienti, però non vorrebbero il danno di questa città, replicandomi che faria buon ufficio. La serenità vostra mi perdoni se io sono troppo lungo; che come io non mi stracco mai di pensare ed operare tutte quelle cose che mi paiono di beneficio suo, così non posso fare di non dirle la somma di quelle. Alla grazia della quale ec. Di Firenze li 18 di Luglio i52g. CARLO CAPELLO