Mi nissimo, anzi temono grandemente di qualche strano accordo, ed accresce questa loro suspizione il non avere lettere dal Carducci ambasciatore loro dai 27 di maggio in qua, dove che ne solevano avere ogni sei 0 otto giorni. Io mi sono sempre sforzato di mostrar loro che non devono porre speranza se non nella gagliarda difensione, e che in niun modo si possono fidare di Cesare. Conoscono e confessano ciò essere la verità; tuttavia temono grandemente di essere abbandonati, e di non potere da sè stessi sostenersi, massimamente che hanno gli aiuti di Francia per disperati. Sono stati questi tre giorni in pratica per ritrovare buona somma di denari e non hanno deliberato ancora cosa alcuna, e non mancano fra loro, e de’grandi, che persuadano la composizione con Cesare. Io e pubblicamente e privatamente non cesso di contraoperare. Questo magnifico oratore francese ha lettere di Roma dei 14 dall'oratore del cristianissimo, che il pontefice si era doluto che questi signori tenessero le genti loro sullo stato di Perugia come se volessero insignorirsi di quello della Chiesa. Sua magnificenza di ordine di questi signori, essendo io presente, ne scrisse al detto oratore che dicesse a sua beatitudine che rincresce molto a questi signori di fare tali spese, e che le fanno solamente per la sicurtà loro e non per insignorirsi di quel- lo d’altri, e che sempre che sua santità faccia chele genti di Cesare e sue si discostino dallo stato di Perugia e di quei contorni, essi volentieri ritireranno le loro genti. Non voglio lasciar di dire alla serenità vostra che questi signori hanno avvisi che manca da quella il farsi l’impresa di Milano, ed io l’ho inteso di buon luogo, e di questi imprudentissimi ufficj ne vengon fatti spesse