j^9 chè cosi come le diverse opinioni della fede hanno fatto che li eretici poco obbedivano a Cesare, così con il tentare il concilio, il quale può unire e concordare le opinioni, teme che non unisca anco li Germani all’obbedienza sua. E con tal mezzo il re cristianissimo dubita che Cesare si faccia più potente, non solamente con li principi germani, ma con le terre franche, e con li popoli. Onde gli nasce un gran timore, nel quale sua maestà è entrata, del suo regno, così discorrendo: « Cesare, oltre i suoi stati molti e grandi, è fatto vittorioso conira il Turco, e l’ha privato d’ una gran parte della sua armata maritima; ha tutta l’Italia, parte sua, parte confederata; unirassi la Germania per via del concilio; si vendicherà conira il duca di Ghelder , il quale sua maestà è tenuta a difendere'. » Poi si stima ch’egli debba andare contra il re d’Anglia, per li errori ne’quali è incorso”. Avvertisce ancora che Cesare è intento a mettere nel regno di Dania 5 il conte Palatino. E così circondato da ogni parte, dubita d’essere costretto di accettare tutte le leggi che Cesare gli vorrà imporre. Quindi è nasciuto tanto timore in questo re cristianissimo e signori, che dove prima affettavano il ducato di Milano, ora primieramente hanno 1’ occhio alla grandezza di Ce- 1 Cavlo d’Egmont, duca di Glieldria , che si era composto con Cesare , come abbiamo veduto nella precedente Relazione, pag. 51-5^, patteggiando di non tornare più mai agli stipendi di Francia, a’quali si era tenuto per molto tempo, incitato da Francesco 1 aveva infranto tal patto, riconducendosi con mille lancie al servizio di lui. » Errori dell’eresia da lui adottata, predicata, ed imposta al popolo suo. 3 I codici scrivono Dacia, e il Tommaseo ha mantenuta tale lezione ; ma e errore. Vuoisi leggere Dania, ossia Danimarca ; e si allude in questo luogo ai torbidi di quel regno, ove il re Cristiano II, cognato di Carlo V, era temilo prigione da’ suoi sudditi ribellati. Il pensiero di Carlo, che qui si annuncia, fu uno forse dei tanti eli’ egli volse nell’animo per la restituzione delle cose di quel regno, nessuno però dei quali pose ad effetto.