38y era pessima ed il viaggio difficilissimo, e che però ritardassimo alquanto la partita nostra, perchè intanto si sa-rieno raddolciti i tempi, e le cose pubbliche si sarieno espedite in bene, e noi ritornati alla patria con 1’ambasciatore, dopo aver di nuovo baciato le mani al Gran-Signore, e avuto da lui un altro banchetto. Non avendo dunque noi potuto ottenere la licenza di partire, deliberarono li clarissitni per rispetti pubblici che partissimo senz’ altra licenza: e noi, con lutto che fosse il pericolo evidentissimo di lasciarvi la vita, o perdere la libertà, ci offrimmo prontamente di partire non tanto per desiderio di tornare alla patria, quanto per servizio pubblico. Nè poteva essere la partita nostra nascosta, poiché avevamo dodici cocchj in compagnia nostra, senza alcuna scorta di ciaus o giannizzeri. Mentre dunque il nostro partire si preparava, pervenne il nostro disegno alle orecchie del pascià, il quale ci mandò subito ad avvisare che per alcun modo non dovessimo partire senza licenza, perchè ci avrebbe costretti a ritornare a Costantinopoli con un ferro al collo per uno, e avrebbe fatto inpalare il dragomanno che fosse venuto con noi. Allora andò il eia rissi mo ambasciatore dal pascià dicendogli, che essendo egli stato mandato dalla signoria di Venezia per confermazione della pace a quella gran corte, ed essendovisi già fermato cinque mesi senza aver fatto alcuna buona operazione, aveva deliberato partirsi, poiché non era dignità della Repubblica che un ambasciatore suo si fermasse tanto tempo in un luogo senza alcun profitto; e che per ciò ricercava da sua eccellenza il comandamento per potersi partire, e passar liberamente nello stato del Turco; e che quanto alle cose pubbliche, sarebbono passale