209 dare, giudicando che questa fosse arte di Rustan-pascià usatagli per farlo cader in contumacia con suo padre. Li suoi più secreti servidori, che il tutto avevano inteso, non restarono di dirgli che sopra di tal fatto egli do- • vesse aver miglior considerazione, e che se pur egli si voleva presentar a suo padre lo dovesse far a cavallo in campagna aperta, che fosse veduto da ognuno, però che allora il Gran-Signore non gli avria potuto far dispiacere, siccome avria potuto fare comodamente nelli suoi padiglioni serrati, dentro de quali non sarebbe entrato con lui alcuno de’snoi, che se gli fosse bisognato aiuto glielo avesse potuto dare. Non volle il poco accin to signore ad alcun di questi consigli assentire, e a chi lo consigliava disse, ch’egli non conosceva d’aver commesso errore alcuno conira di suo padre, che esso gli dovesse dar la morie, e che non crederebbe mai che alcuno Tavesse potuto mettere in tanto odio di chi l’aveva generalo, che lo facesse morire, e diceva: « Se pur è veli ro che mio padre mi voglia tor la vita, me la torrà coli lui che me l’ha data ». E deliberato al tutto d andare, inviò tosto il suo presente avanti, che fu d’alcune fodere di pelli, e di alquanti bellissimi cavalli, e d’altre cose onorate dà par suo, inviandosi poi lui, che usci vestito di bianco e di argento di sopra, e di sotto di raso cremisino, sopra un bellissimo cavallo tutto fornito di gioie; e essendo lui e il cavallo benissimo in ordine, e lui bellissimo di corpo e di aspetto, era cosa mollo bella ila vedere. Giunto che fu l’infelice Mustafà al padiglione del padre, smontò da cavallo, lasciando quello in mano del suo miriacuba, che in lingua nostra vuol dir maestro di stalla, eda poi si scinse la spada, lasciandola in quel Voi. 111. ' I