204 AI) UN CONSIGLIERE DI STATO DEL RE DI PRUSSIA. A Lei che ama di nobile amore e la Germania e l’Italia; che sa, noa nella vittoria consistere l’onore de’popoli, ma nell'uso della vittoria ; che sa, certe vittorie essere più infauste delle sconlìtte in quanto ineb-hriano, e destali odii ed invidie; a Lei l’esito della guerra austriaca in Italia ispirerà in cuore pensieri più dolorosi che lieti, lo non Le rammenterò quel eli’Ella sa bene, che se ogni italiano di senno ha sempre distinto austriaci da tedeschi, eli'è troppo grossolana arte di quelli il voler dare ad intendere che oggetto agli odii e a dispregi degl’italiani sia la Germania tutta quanta. E la detta distinzione importa grandemente che i veri tedeschi la facciano; die discernano la causa propria da quella d’un impero che si regge con armi straniere, con oro straniero, d’ un impero rapace e mendico, a cui l’odio reciproco de’suoi sudditi, fomentato a bello studio, è unico salvamento. Codesto procedere se convenga alla germanica lealtà, lascio a Lei giudicare. Ben dico che se la Germania non tarpa le prepotenze dell’Austria; se non disfa, o lascia disfare l’impero, restituendo alle stirpi comprese in esso la propria loro vita; la Germania corre pericolo gravissimo. E se a’pericoli interni suoi, che son tanti, e la minacciano nelle viscere, aggiungesi la maledizione del volere schiacciato a ogni costo il diritto in Italia; in questa Italia della cui civiltà, voglia o non voglia, la civiltà germanica è figlia; codesto diverrebbe presagio di tristo avvenire. A’commerci germanici la possessione d’Italia non è necessaria per modo che non si possa per via di patii amichevoli ottenere più pienamente e più durevolmente l’intento. Or io per Venezia segnatamente La prego, caro Signore, voglia con l’autorevole sua parola mettere in chiaro i diritti eh’EH’ha legittimi all’indipendenza propria, la quale sconoscere sarebbe un rinnegare tutte quelle legittimità di cui s’armano i re. Ella sì dotto delle cose italiane, sa meglio di me, che tutti i secoli della storia austriaca non valgono e non varranno un secolo della veneta. A Lei con fiducia mi raccomando. N. TOMMASEO. OSSERVAZIONI SUL GIRO DELLA CARTA MONETA. « A Trieste si vendeva la Venezia solo con 47 o 18 per 0/0 di perdita, mentre qui si pagava il Trieste perfino con 28 per 0/0 di aggi°: cosicché il Governo avrebbe potuto accordarlo circa a dieci per cento meno, e ribassare con egual misura varii prodotti; cosa che avrebbe avuta naturalmente una vantaggiosa influenza sul valore della carta monetata. » « Siccome della banca di Venezia fanno parte molte delle più distinte case di commercio, sarebbe poi loro facile di servire il Governo in tal nuovo bisogno, col mezzo di queslo stabilimento: e quando la banca potesse tenere i cambi al corso determinato, e questo fosse conosciuto almeno nelle altre principali città d'Italia, renderebbe certamente molti servigi a Venezia. »