333 4 Giugno. RELAZIONE STORICA DELLA DIFESA DI MARGHERA * Ui Nicolò Tomaseo. Marghera abbandonata^ è di diritto più nostra che mai, perchè guadagnata col sangue de’ nostri fratelli. Non sarà sparso invano quel sangue. Perdite ^ali son più onorevoli che vittorie. Acciocché tutta Italia abbia notizia e ricordanza del come a Venezia si sia combattuto e palilo, recherò alcuni pochi tra i molti esempi qui dati di virtuoso coraggio e di magnanima affezione. Durò tre giorni la pioggia su Marghera delle palle, delle bombe, delle granate, de’ razzi. La notte del di ventiquattro i mortai tacquero, non i cannoni. E ogni quarto d’ora cadevano quaranta bombe. E dal \entilre al venticinque possono contarsi seltautamila colpi di distruzione \aria scagliali dalle trincee del nemico. Smantellati i ripari, esposti e combattenti e cannoni, le casemalte non più sicure; il suolo arato dalle bombe, e come a onde. Maggiore il numero delle artiglierie degli assalenti, e più lontano il tiro, e più possente l’impeto, e non men giusta la mira d’artiglieri esperti e dotti che de’nostri giovani, fatti valenti non da altro che dalle ispirazioni del cuore. Nell’ ampiezza del sito e nel trambusto mancando sovente i capi, la gioventù faceva da se. Nu-Irirsi di biscotto per tre di e così stanchi ( chè il combattere era loto alimento ), intanto che il nemico con forze sempre fresche; e serbandole lontane dal pericolo, risorgeva, bere l’acqua che scaturiva dalle buche aperte per l’impeto delle bombe; andar sotto il diluvio di quelle a prendersi le munizioni e ufficiali e militi semplici ; le munizioni che pur venivano meno, e giunsero tardi quando era ordinato di ritirarsi, si che parte dovette buttarsene nella laguna, e di parte fare scialo da ultimo contro il nemico, e, come disse il valoroso Rosaroll a’ suoi per non sgomentarli, tirare a festa : portare a braccia i feriti, saltar sui cadaveri degli amici che per quarantott’ ore giacquero accaulo al cannone, spettacolo di pietà e di generosa ira ma non di spavento; tale fu la 'ita dei nostri, che fa ripeusare le alte parole di Senofonte: « morirono irreprensibili nell’amicizia e nel valore » Son portate via a un combattente le gambe, egli cade applaudendo con le palme, c muore dicendo : viva l'Italia. A un altro del braccio non rimane che un brandello della pelle; ed egli se la strappa, e la gotta nel buco che gli scavò a’piedi la bomba. In meno di mezz’ora quattro cadono ad un cannone, bersaglio della mira nemica^ dopo aver tratti quattro o cinque colpi ciascuno: s’avanza impavido il quinto, un già pacifico giovane, seduto per anni al tavolino d’un uffìzio civile; ma il degno maggiore Cosenz napoletano gli vieta esser vittima del suo ostinato coraggio. Uno rimaso solo a caricare e ad appuntare per una giornata intera, fa tutto il servigio egli solo. Altri ferito nel braccio