522 in colpa la maggior parte dei popoli. Ma siamo costretti a deplorar» molti ancora del popolo essere stati cosi miseramente condotti in inganno, che, non volendo prestare orecchio alle nostre voci ed ammonimenti, abbiano dato ascolto alle fallaci dottrine di alcuni maestri che, lasciando il diritto cammino e andando per tenebrose vie (Prov. C. 2. v. d5.)_, ad altro non miravano che ad indurre e strascinare nell’errore gli animi e le menti sovra tutto del volgo con magniiiche e false promesse. Tutti sanno con quanto entusiasmo venisse dovunque accollo quel memorando ed amplissimo perdono, da noi largito a condurre la pace, la tranquillità e il ben essere nel seno delle famiglie, e conoscono pur tutti che molti, favoriti da quel perdono, non solo non cambiarono benché minimamente di pensiero, com’era pure nostra speranza, ma che, di giorno in giorno vieppiù acerbamente insistendo con macchinazioni e raggiri, nulla lasciarono di temerario e intentato per travolgere e pienamente rovesciare, come già da gran tempo tramavano, il civile principato del romano Pontefice e ad un tempo stesso far guerra ostinata alla santissima nostra religione. E ad ottener ciò con maggior facilità, niente più loro parve acconcio che il radunare le moltitudini, infiammarle, agitarle con gravi e non mai interrotti tumulti, cui fomentavano continuamente e ogni giorno accrescevano col pretesto delle nostre concessioni. Quindi le concessioni, da noi spontaneamente e di animo volonteroso elargite nel principio del nostro pontificato, non solo non poterono produrre il desiderato effetto, ma neppure mettere radice, mentre artefici peritissimi di frode si abusavano delle stesse concessioni per suscitar nuove turbolenze. I quali fatti, in questo vostro consesso, o venerabili fratelli, abbiam voluto lievemente toccare e di volo accennare, all’intendimento di far conoscere chiaro ed aperto agli uomini tutti di buona volontà, che vogliano, a che agognino i nemici dell’uman genere, e qual cosa s’abbiano sempre ferma e fitta nella lor mente. Assai ne doleva ed angustiava, o venerabili fratelli, pel singolare nostro affetto verso i sudditi, il vedere quei si spessi popolari tumulti, tanto avversi alla pubblica tranquillità, all’ordine e alla privata quiete e pace delle famiglie, nè potevamo sostenere quelle spesse collette di dar naro che, sotto varii pretesti, non senza leggiero incomodo e dispendio de’cittadini, si andavan facendo. Per la qual cosa nel mese di aprile dell’anno 1847, con editto del nostro cardinale segretario di stato, noi permettemmo di ammonire tutti dall’astenersi da tali popolari assembramenti e largizioni, e volger quindi l’animo e la mente di nuovo alla trattazione dei proprii affari, riporre in noi ogni fiducia, certi che ogni nostra premura, ogni nostro pensiero erano unicamente rivolti al pubblico bene, siccome con molti e chiarissimi argomenti avevamo già addimostrato. Ma tali salutevoli nostri ammonimenti, coi quali ci studiavamo reprimere sì grandi popolari moli e richiamare i popoli stessi alla quiete ed alla tranquillità, dalle prave intenzioni e raggiri di taluni erano grandemente avversati. Pertanto i non mai stanchi autori delle agitazioni, i quali già si erano opposti all’altro ordinamento, per nostro comando emanato dallo stesso cardinale, onde promuovere la reità ed utile educazione del popolo, appena conobbero quella nostra ordinanza, non la-