144 Non più ancella, ma regina, Dolce Italia, alla divina Tua beltà di virtù nove Ei si sente ardere il cor : Alta gioia entro gli piove Or eh’ è presso al suo tesor. 0 Vinegia, a cui caduta Rapir scettro e la corona, Di lue spoglie iva vestuta La barbarie teulona. Tutta in brani, al suol giacente, Preda alfin del più possente, Contro il tempo distruttore Solo il nome ti restò; Ma quel nome in ogni cuore Le tue glorie conservò. Sorgi, o diva, i lauri suoi Non depose l’Adria ancora; Dalla patria degli Eroi Parte un grido, che avvalora, Che i più trepidi riscuote, Che diffuso in larghe ruole Nel suo vortice ha sommerso La barbarie e la viltà : Sì, quel grido ha già disperso Lo squallor di lunga età. È Maria che i fati volve, Ti solleva e ti fa schermo, T’assicura e ti dissolve Il torpor del braccio infermo. Con ardir, con santa brama Alla voce che le chiama , Risvegliaronsi in un voto Le divise tue tribù. Operoso ferve un molo Di fidanza e di virtù. PREGHIERA. O Vergin bella, o Madre Del gran Monarca eterno, Terror del vinto inferno, Gioia e desio del Ciel: Vedesti Italia afflitta Da atroce orda crudele ; Udisti le querele Del popol tuo fcdel; E in tua possente aita D’Adria la Donna impera Ancor sorride altera Come ne’ prischi dì. Tu ci avvalora : all’itale Città sogguarda pia Contro una gente ria Che ad assalirle uscì ;