5 i 0 Quali soli non sono i caratteri che Cesare Rosaroll-Scorza distinguevano. —• Furono gli eroi destinati dal Cielo per vibrar agli occhi degl’inferiori lo splendore di lor grandezza, eome il Sole dal centro dell’ universo vibra alle create cose i suoi raggi. — E chi meglio di Cesare potea dire, non calcò il mio piede le vie grandi con fasto, nè mi compiacqui con orgoglio nelle mirabili cose ed al mio essere superiori? Chi meglio di lui abbassarsi senza mai degradarsi sapeva^ felicemente la libertà al rispetto accordando? Quale altro disegno mostrò d’aver egli mai, e di qual cosa diedesi mai a divedere più sollecito come di quella di amare, e di essere amalo teneramente? Bastava vederlo, bastava una sol volta parlargli per sentirsi con egual forza e dolcezza ad amarlo inclinato. — Nè qui s’arrestano i pregi di Rosaroll, perciocché a tacere di sua illibatezza, chi più inviolabile di lui nel custodire il segreto, giacché ebbe per massima d’esser pronto a perdere non che ogni bene, il sangue stesso e la vila, piuttosto che rivelarlo? Era il segreto di chicchessia nel suo cuore come in venerabile sagrario riposto, ed impenetrabile a ognuno. — Che dirò poi di sua esattezza nel mantenere la parola? Esattezza che giungeva molte volte sino allo scrupolo. Che dirò del carattere di sua amicizia? Cesare ebbe amici, n’ebbe dei teneri, disinteressati e fedeli, ma gli ebbe per questo solo perchè fu amico egli stesso. E ben io posso dire di lui, cui particolare intrinsichezza ed indicibile affetto piucchè fraterno congiungevanii strettamente. — Al suo primo giungere in Venezia dopo il disastro, tosto a tutti cbiedea di me, che trovavami a letto con accesso di febbre periodica. — Fui avvertito del doloroso avvenimento. — Volai al mio unico e vero amico, che appena vedutomi mi annunziava il suo prossimo fine, e in pochi termini raccomandavami di eseguire le sue disposizioni testamentarie, di cui già avevami da qualche tempo incaricalo. — Alcune parole ancora proferì. — L’agonia lo assale, e in brieve momento col sorriso sulle labbra moriva della morte de’prodi, tenendo stretta nella sua la mia destra. — Non posso però richiamare al pensiero il defunto Cesare, senza che nel tempo stesso al pensiero la sua umanità mi ritorni, quella umanità della quale coi vinti nemici pur anco non seppe a meno di essere generoso. — Io slesso lo vidi vivamente commosso dai pericoli altrui, ed alla recita delle altrui disgrazie mutar colore, entrare nei più piccoli dettagli per consolarli, calmare gli spiriti con una pazienza e dolcezza che non sarebbesi aspettata giammai da chi sentiva nel seno quel fuoco e gagliardìa che nel iervor della mischia spingevasi, e che nutrivasi del desio di battaglia. — Quanta pietà verso i poveri, quanta compassione dei miserabili, quai sentimenti di tenerezza pcgli infelici! Se chiedevate una grazia, egli era che vi pareva obbligato; i vostri affari divenivano suoi. — Come allegro nel sollevare un oppresso, come contento nel far a tutti piacere ! — Così quell’impareggiabile valoroso terminava i suoi giorni, lasciando nome non perituro alle storie, memoria onorata fra quelli che stimano le magnanime azioni, ricordanza perenne fra tutti, cui splendono di eterno fulgore le operazioni di valore, di prodezza, dì gloria, mentre il suo