408 di tante liete memorie, eon uno virtù soprannaturale sapesti cedere a quella mano di ferro che ti strappava un nome si caro, e sacrificasti tutte le tue glorie pel bene e salvezza dei tuoi fratelli, olocausto facendo sull'altare d’Italia, del nome, e delle glorie più care che mai possa vau-tare una nazione che col nome di repubblica signoreggiò per tanti secoli su tulle le nazioni del mondo. Del desiino degli altri popoli d'Italia li mostrasti tacito spettatore; ma sempre, a ragione, vivevi con un nobile sospetto, che tranquillo nou lasciava il luo cuore, e guardavi con vigile occhio gli andamenti del reggime di quel nuovo governo, nel quale riverberavi le venirne tue disgrazie e quelle dell’Italia. La voce di un popolo saggio è voce di Dio, si verificarono, pur troppo, i tuoi sospetti I Gl’immensi sacrificii che tu facesli per soccorrere i tuoi fratelli furono in un momento dispersi, il sangue italiano irrigo le tue campagne, un lago di sangue ti separò da quelle, un tradimento ti cacciò in un baratro di sventure, di dolori; l’armistizio di Salasco fu il suggello di tanta empietà. La nazione la più forte, il popolo più coraggioso si avrebbe avvilito, s.irebbe restato schiaccialo sotto il peso di quella sventura che oppresse i tuoi fratelli, se il luo coraggio, o popolo veneziano, la tua fermezza non li avesse salvato. Antivedesti il pericolo, e col furore di un uomo che fidente riposa sulla fede di chi tentava tradirlo, scacciasti gl’ iniqui ministri di un perfido re, che per la maledetta ambiziou di regnare ingannò Italia tutta; ma la vindice giustizia di Dio lo punì. F qui l’innata tua virtù fu di specchio agli stessi tuoi nemici; i soldati del tuo traditore erano nelle lue mani, su loro polevi sfogare la tua vendetta, ed invece, oh esempio di virtù! li accogliesti come fratelli ingannati, e sotlo alla tua protezione li salvasti dalle mani di quei pochi luoi concittadini che frenar non potevano il ben giusto livore. Nel tuo seno accogliesti quanti tuoi fratelli si poterono salvar dalle mani nemiche, con tutti dividesti il tozzo di pane, che ti restava, e molti mesi passasti contornato dai nemici, assediato, bloccato, privo di tutti quegli agi che abbondarono sempre in questa tua ricca città. Per ottenere di che vivere giornalmente, per difendere i tuoi Forti dagli artigli nemici, mille sacrificii tu facesti, senza che un lagno, un lamento sortisse dalla tua bocca e con esemplare rassegnazione aspettasti si schiarasse quell’aura di speranza, che benefica, doveva ridestare gli avviliti popoli (l’Italia; ed era ben cruda la sorte di questi infelici popoli, dovere attendere refrigerio da quella stessa mano, che più profonde gli aperse le piaghe; ma cosi era il desiino dell’infelice Italia, che doveva dissetarsi a quell’istesso calice nel quale bevuto aveva il veleno. L’armistizio di Novara fu l’ultima delle sventure che poteva toccare ai popoli d’Italia, e lanlo li avvili, che pur troppo se ne vedono tutto giorno gli effetti, che ad una ad una le generose città d’Italia restano schiacciate sotto il peso della sventura; ma Venezia, questa tua Venezia, o popolo^ miracolo della natura, compiange le sventure altrui, ma maggior in se ridesta il coraggio; e se le altre città cadono, e si arrendono al destino fatale, questa tua Venezia grida di resistere ad ogni costo, nè teme ve-