214 tera che \i è stala diretta dal potere esecutivo della nostra repubblica, per accreditarci come inviati della medesima presso il governo francese. Perchè da noi sia stalo differito di presentatela, ve ne abbiamo già indicati i motivi. Checché siate per decidere, noi non possiamo , nè dobbiamo abbandonare la Francia, signor ministro, senza protestare altamente e di nuovo indignati, innanzi a Dio, e a nome del popolo romano, contro le calunnie , di cui la nostra rivoluzione è fatta segno. Un fatto tremendo accadde, ma sotto il reggimento papale: quel fatto è opera individuale, e sarà giudicato da Dio e dalia storia. E qui ci spelta affermare che dal giorno, in cui oltre 200,000 elettori nominavano i loro rappresentanti , e dacché questi legalmente si furono costituiti, conferendo al governo stabilito il nome glorioso di repubblica romana, non un momento l’ordine il più perfetto, ed il rispetto alle persone ed alle proprietà è stato interrotto nella capitale, come nelle provincie. Quest’ordine, questo rispetto saranno conservali verso e controtulli, e contro quelli specialmente, che tentassero piantare ancora una volta sul Campidoglio il segno abbonito della tirannia sacerdotale. Contro di essa protestarono pure nella trascorsa elà tutti, gli uomini grandi, Dante, Pelrarca , Savonarola, ben altrimenti cattolici di coloro che tali si dicono ai tempi nostri, e che, parlando del cielo, non si curano che della terra. Certamente, se la repubblica romana fosse assalila, le popolazioni, eoi loro rappresentanti alla testa, si adopreranno s respingere la forza colla forza: battute in una città, correranno in un’altra per ivi apparecchiarsi a nuova battaglia: cacciate dal Quirinale, si fnran forti nel Valicano: oppresse oggi dal numero, si rialzeranno domani, si accingeranno a più disperata battaglia, e forse col funesto presentimento non esser più il Cattolicismo che la religione dei despoti. Dai tempi rimoli hanno gl’italiani sofferto la prigionia, l’esiiio e la morte pel fine santissimo di sottrarre al regime dei preti e dello straniero la patria loro. Possono ancora starci contro le sorli: ma se la civiltà europea è un decreto provvidenziale, se la libertà è corona promessa alle nazioni che soffrono e credono, le nostre passale sventure denno fruttarci vittoria; e l’Italia cesserà d’essere una semplice remini-miniscenza, perchè non han morte le idee, non si annega nel sangue un principio, non s’annienta nell’anima umana il sentimento della dignità nazionale e dell’indipendenza; sentimento, che, presto o tardi, fa della voce di un popolo la voce di Dio. Giova dunque, noi Io crediamo, agl’interessi della Francia, non meno che alia pace d’Eùropa , che la repubblica romana sia dal governo francese riconosciuta, che l’Italia sia nazione libera, indipendente. Gradite, sig. ministro, ec. ec. Parigi d8 marzo 4849. GV inviati della repubblica romanaj membri della Costituente F. PESCAiNTIISI — P. BELTRAME