4 89 coiilcuta di poter alla fine fare qualcosa, di mostrare all’Italia, che cpii siami vivi. Uno di loro, nel momento più forte, fermatosi a mangiare un po’ di biscotto (non s’era trovato altro che biscotto e acqua) cantava: oli che bel vivere ! appunto per questo che poteva in quel punto onoratamente morire. Si trovarono a Marghera genti di cinque diverse parti' d’Italia, di cinque diverse nazioni del mondo; e tutti facevano il dover loro. I Lombardi, che sono sì valorosi, si dimostrarono coutenti del valore de’Veneti. 1 Napoletani dei quali ce n’è rimasti pur pochi, ma fiore e di valore e di saper militare, i Napoletani, onorarono il proprio nome, e soddisfecero ai paterni desiderii dell’illustre ed amato lor capo, Guglielmo Pepe, e del comandante Girolamo Ulloa, il quale al primo apparire ispirò negli animi la fiducia che richiedesi a vincere. Il capitano Cosenz, con la febbre addosso, combattette da quel prode ch’egli è. Il maggiore Boldoni, quegli che tanto felicemente ammaestrò gli artiglieri da campo, e che trovavasi al Lido, chiese in grazia d’avere parte al pericolo ne* dì seguenti. Questo nobile desiderio manifestarono, o Veneziani, non pochi de’ vostri concittadini. E i civici, specialmente artiglieri, fecero bella prova di sè. Un barcaiuolo, attempato, che si trovava a Marghera per caso, non volle starsene a solo guardare; e si mise ad aiutare di lena a’giovani combattenti. Tra i civici è da nominare Demetrio Topali, greco e suddito inglese, il quale ricordandosi di quello che gl’italiani fecero per i prodi Greci, e di quegl’italiani che andarono a spargere per la libertà greca il sangue (Ira’ quali il bravo nostro colonnello Mo-randi), si offerse con gioia, sebben padre di famiglia, a rimanere nella fortezza oltre al tempo dovuto, per fare, diceva, buon’accoglienza al Ra-detzky, il quale ci aveva promesso la sua visita in breve. In tal modo la guerra diventa esercizio d’amore fraterno; e i sentimenti generosi non lasciano luogo all’odio e al disprezzo nemmen dello stesso nemico. II qual nemico è stato il dì quattro di maggio severamente punito delle insolenti minaccie con le quali annunziava di voler prendere Marghera d’un colpo, e il dì sette di maggio venire in piazza di S. Marco a bere il caffè. Per questo il Radetzky s’era mosso da Milano a godere del facile trionfo; e con lui veniva non so che Arciduchino di casa d Austria; povero disgraziato, che non prevede che orribili sventure e vergogne gli destina la crudeltà della sua stolta imperiale famiglia. Ritorneranno all’assalto: ma la Vergine li respingerà, se noi la preghiamo con cuore degno. Intanto il cannone di Marghera ha mietuto nel campo nemico. Le vie che conducono a Treviso e Padova han visto lunghe file di carri pieni d’infelici feriti, che combattono e muoiono senza sapere il perchè. Li distribuiscono per gli spedali di diverse città, sì perchè non capirebbero tutti in uno^ sì per dare a’nostri fratelli di terraferma piena notizia della sconfitta toccata. A Mestre dicousi ventisette i tagli falli da’ chirurghi per ferite che, portandone qualche parte del corpo, diventano in breve mortali. De’ morti il numero non si sa, perchè gli Austriaci 0 seppelliscono o bruciano i morti : e qui li avranno seppelliti per fare più sodo il terreno sul qual piantare i cannoni contro di noi. Ecco uso c conto che fanno della carne umana. Con simili intenzioni spietate mandarono un reggimento italiano a combattere sotto Brescia i fratelli, e