21 ü a soprintendere; e l’italiano soldato sempre a balìa di un eomandaetr straniero, intento fin dalle prime ad estinguere in esso ogni sentimeatu grande e generoso, mettendolo sotto un peso di ferrea disciplina, ba|te-vole a schiacciare e invilire qualunque animo anche più imperterriti e torte. Chi di noi non ha vqduto maniere onde il soldato s’iniziava nei primi rudimenti dell’arte, più dure al certo che per noi non s’adopefib verso un bertuccio od un cane? Il poveretto nondimeno doveva porp|ii ogni dolore ed oltraggio por non mettersi a rischio dì un martorio iu-comparabilmente più atroce; e tuttavia non furono troppo rari casilche gli ammaestratori dessero in chi risolutamente avventandosi loro cmB gli uccidessero, eleggendo più presto di finire colpito da una senlem capitale, che di venire soldato per una via di tormenti e ignominie, e rimanervi a condizione di vigliacco e di schiavo. Per questi modi adunque si spegneva prima nel soldato italiano la natura italiana per accosciarlo meglio a quella condizione di servaggio nella quale si destili® logorare il fiore degli anni fra genti straniere., disperato di chiedere il pane, o di domandare mercè col dolce suono di quella parola, che succhiata aveva dal seno materno. Chi oserà negarci che questo non fosse il destino della gioventù nostra, e che per questa via s’intendesse a tenerci ne’ceppi di quella schiavitudine nella quale eravamo miserarne® condotti ? Forse si apriva meglio la via alla gloria italiana negli ordini amministrativi della pubblica cosa? Chi era collocato in cima ne’Governi? Chi nelle più eminenti cariche negli altri magistrali? L’austriaco, e sempre con assoluta esclusione dell’italiano, non in opera di una legge scritta, perchè forse poteva essere troppo arduo attentato, ma in osservanza di una pratica concertata ed occulta rigorosamente e costantemente servata. Anzi togliendoci per fino l’estremo pane, mielulo negli ubertosi nostri maggesi, ogni altra carica in ogni ministerio ed ufficio, fino agli uscieri, era ovunque data a lucro di gente alemanna. Senza che, cosa lacrimevole a dirsi, alle medesime nostre cattedre, fatte reverende e celebri pei chiari uomini italiani che le illustrarono, erano levali insegnatori tedeschi, dove il nobilissimo sermone italico turpemente sconciato, era fallo cagione di baia e di scherno agli ascoltanti. Questi erano gl’ Italiani ricondotti alla più bella epoca della storia loro. ÌNon negherò che qualche tozzo di pane non fosse anche a questi largito, e tanto più pingue quanto più ontosamente bastavano a dispogliarsi della natura italiana, ed eziandio a farsi colpevolmente carnefici de’lor fratelli, meno pochissime accidentali eccezioni. Pane quindi mercato ad un costo cui i più rifuggivano, contenti di una vita piuttosto povera che colpevole ed ignominiosa. Questo cenno veridico della promozione alle cariche, onde il nome italiano era condotto al suo splendore e la nazione recata all’ esercizio de’ suoi diritti, porta agevolmente ad arguire che la ragione della scelta non dovesse il più sovente rispondere al merito della persona, ma si agli accidenti della nobiltà, degl’impieghi bene o male precedentemente precorsi, e più di tutto di non avere avuto in sorte patria italiana; giacché il mettersi l’italiano a concorrenza coU’Austrkico era porsi a una pruova di sicuro e inevitabile smacco. E quando bene taluno, evitando scontri