'507 i'anima nata ad amare e per lunga prova incapacissima d’odio; ma so che, perchè noi potessimo dirci degni di libertà, questo grido di guerra all' Austria ! dovrebbe essere oggimai la giaculatoria del credente nella Patria, la voce per la quale, dentro e fuori di paese, l’italiano si riconoscesse d’una terra coll’italiano, il molto di comunione che corresse da un capo all’altro della Penisola ed oltre, potente e rapido come il fluido che alimenta sotterraneo i nostri vulcani, si che ne uscisse tremoto c le passioni sobbollissero come lava e l'Etna in eruzione rimanesse simbolo convenevole agli sdegni e al levarsi d’Italia. Vorrei che come i leggendari dei secoli cristiani cominciavano e finivano tutti colla forinola : « nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito, » cosi nessuno scrittore toccasse la penna in Italia se non cominciando e finendo colla forinola: in nome della Patria e de'nostri martiri, sia guerra all'Austria. Vorrei che le fanciulle italiane, comprese dell’onta sofferta per mano dei barbari dalla Donna Italiana, rammentassero col bacio di fidanzata ai loro promessi: ricordate e vendicate le fanciulle di Monza. Vorrei che, come i romiti della Trappa non s’incontrano senza dirsi l’un l’altro: fratello, bisogna morire, i giovani d’Italia non s’incontrassero per le vie, nei teatri, nei Circoli, senza dirsi: fratello, bisogna combattere; tu ed io, viviamo disonorali. Perchè, è fòrza il dirlo, noi viviamo disonorali: disonorali, o giovani, in faccia a noi stessi, in faccia all’Austria, in faccia all' Europa. Nessun popolo in Europa, dalla Polonia in fuori, soffre gli oltraggi che noi soffriamo; nessun popolo sopporla che una gente straniera, inferiore di numero, d’intelletto, di civiltà, rubi, saccheggi, arda, manometta ferocemente a capriccio un terreno non suo, trascini altrove, colla coscrizione, a farsi complici di delitti e stromenti di tirannide, giovani non suoi, contamini di violenze e di battiture donne non sue, uccida per sospetto o disonori col bastone cittadini di patria non sua. E nessun popolo — io lo dirò comechè suoni ingratissimo a me che scrivo e a quanti mi leggono — nessun popolo ha più di noi millantato odio al barbaro, valore italiano, potenza di desiderio, e furore d’indipendenza. Da noi uscirono bandi grandiloqui, discorsi pomposi di memorie del Campidoglio, d’aquile romane e di conquiste mondiali, tanti da incendiarne gli accampamenti nemici, e centinaia di gazzette, libri e libercoli a tritare lo slesso tema di minaccia impotente, e migliaia d’inni di guerra e milioni d’urli e grida di viva Italia e di morte agli austriaci, nei banchetti, su pe’tealri, in convegni di piazza. Tra noi esci, acclamata, commentala, messa in cima ni giornali, come guanto cacciato solennemente all’Austria in faccia all’Europa, la parola: V Italia farà da sè: parola santa fin dove si tratti d’indipendenza, perchè ogni popolo deve conquistare con forze proprie il proprio nome^ il proprio titolo a rappresentare una parte pel bene comune nella gl ande associazione delle Nazioni ; ma volgente al ridicolo quando quei che l’hanno proferita non fanno, per conio d’Ilalia, che armistizi, capitolazioni e raggiri di mediazione. E la Polonia, eh’ io citai dianzi, affranta da lunghe battaglie e da sagri-fici senza esempio, priva d’ogni libertà di parola, di convegni, di stampa, vuota d’armi e senza un palmo di terreno sul quale essa possa ripre-