457 querela uè vanto. Abbiamo munite più di sessanta fortezze e più clic sessanta miglia di costa. Questa città troppo educata agli abiti della pace, ha armata più gente che non qualche provincia bellicosa. Donne, fanciulli, frati, condannati, con lieto animo si privarono di cose o comode o necessarie per farne offerta alla patria. Non parleremo del nostro nemico nè delle sue crudeltà nè del patto indegno che cinquantanni fa gli diede il dominio di noi. La storia ha ormai giudicato. Noi preghiamo clic l'Europa civile e cristiana dimostri al mondo come la politica d’oggidì possa lare atti conformi a religione e umanità. L’opera sarà d’augurio felice. Quale slato è sì forte che non abbia dentro sè nemici, piaghe, pericoli? La voce che s’alza da queste lagune risonerà per il mondo. Guai a chi non l’ascolta! N. TOMMASEO. 2 Maggio. AGLI ITALIANI. Le funeste predizioni di quelli che non potevano vedere la salute della patria nei vanti oziosi e nei parlili, che a vicenda si accusano e l’uno dell’altro diffidano, si vanno, per disgrazia d’Italia, avverando. Noi ci lasciamo combattere dall’Austria ad uno per volta : e l’Austria, chcsa attendere ed attaccare a tempo, l’uno dopo l’altro ne vince. Noi non diamo la nostra causa per perduta; perchè sappiamo non potersi un popolo redimere in un giorno da lunga schiavitù, e che gli abili degli uomini liberi non si acquistano nella vita molle ed infingarda, ma nella sofferente ed operosa; sappiamo, che Dio ascriverà a merito comune i singoli alti di virtù praticati nella sfortunata nostra lotta, e che la sventura ci deve avere ammaestrali coll’esperienza dei falli commessi. Ma l’esperienza c’insegna del pari, che fino dai tempi in cui Dante era fuoruscito dalla sua città, in Italia, ad ogni impresa fallita susseguì, peggiore d’ogni sciagura, una dolorosa sequela di accuse e dì vituperi, che i vinti si scagliarono l’uno contro l’altro, credendo ciascuno di scusare sè medesimo quanto più aggravava la colpa dei compagni d’errore. Una tanta disgrazia ha cominciato già: e noi dobbiamo temerne sempre più le conseguenze. Andranno gl’italiani esulando per il mondo, gettando l’uno sull’altro i vicendevoli dispregi e l’infamia, e persuadendo alle genti, eh’eravamo una generazione di tristi, d’inetti, di abbietti, e che la nostra sorte ce la siamo meritata. E le genti accoglieranno avidamente le scambievoli ingiurie degl’italiani, come chi cerca una scusa dell’abbandono falto d’un popolo infelice, il quale, soccorso, avrebbe formato la gloria e la forza dei popoli a lui pietosi. Deh! tolga Iddio questo nuovo vitupero dell’Italia, che renderebbe più difficile a ripararsi il comune danno. Rendiamo possibile e non lontana la riscossa, confessando ciascuno i propfìi falli, non aggravando gli altrui, e facendo, che ' più giovani approfittino dell’esperienza che ci costò sì cara. Ogni atto di generosità sarà pegno d’un prossimo risorgimento. Mostriamo all’Europa, che eravamo degni di miglior sorte. Raccogliamoci tutti laddove