162 «£>• registrava il nome di molli impiegati del governo e dei capi del clero veneziano. Al quale faceva seguito il libro d’oro, cioè l’estratto del libro d’oro, da cui si conoscevano le famiglie nelle quali era il dominio. Più cortese cbe gli almanacchi che presentano le altre famiglie regnanti, non metteva mai l’anno di nascita delle donne, ma solo quello delle nozze. Gl’inquisitori di Sialo, i capi dei dieci ed altri magistrati, non potevano assistere a spettacoli e feste pubbliche se non mascherati, come si dirà sotto. E anche questo cresceva il mistero. Quando abbiamo comincialo questa parte del nostro lavoro, forse la più importante, essendo la più sconosciuta, o (peggio) la parte male conosciuta del governo veneziano, ci eravamo proposti la maggior brevità. Cresciutaci la materia per mano, non abbiamo creduto di arrestare la penna, perchè ci parve non inutile, per 1’ onore di tutto il nostro bel paese, dimostrare 1’ erroneità de’ giu-dizii, che gli stranieri portano sopra di noi. In altro breve scritto nostro, abbiamo detto che sogliono gli stranieri noi italiani qualificare come assassini, briganti, avvelenatori, e eh’ era per loro un giojello il trovar pozzi, piombi, canal orfano, punti culminanti delle iniquità che ci appongono. Venutoci il destro di trattare cosiffatto argomento, avremmo creduto di mancare al debito di figlio verso la madre comune non esponendo con sincerità e sicurezza il vero, per illuminare, oltre gli stranieri, quei nostri fratelli clic si lasciano abbindolare dagli stranieri. Entrammo nelle misteriose stanze dei dieci, nelle tremende degl’ inquisitori di Sfato, e vi li abbiamo condotto, o lettore. Quelle oscure cortine, quelle nere tappezzerie, quelle torcie gialle, quelle spie mascherate, quel rapire le creature umane per annegarle, favole tutte, non t’hanno atterrito. Favole tutte, siccome non uno, non dieci, ma forse cinquanta uomini rispettabilissimi ne hanno asserito e potrebbero alcuni asserirlo anche a te; e la sala dei dieci la vedi tu pure. E la stanza degl’ inquisitori di Stato era adorna di preziosi dipinti ; e v’era un tavolino e tre seggioloni di pelle con borchie dorate ed uno scanno pel secretarlo. E nulla più.