<3* 246 <*=> popolari istanze, ricorse al papa Adriano I, ed ottenne clic ad un nuovo vescovo residente in Olivolo fosse particolarmente soggetta la material nuova unione di quelle isole, salva la soggezione al vescovo di Grado come a metropolita. 11 popolo e clero radunati elessero in primo vescovo Obelerio, figlio di Enagro tribuno di Ma-lamocco, Giovanni patriarca di Grado lo consegro, e il doge lo volle fregiato di molti privilegi, llisplendette Obelerio per pietà cristiana e per severità di vita. Sebbene, quando fu eletto, egli abitasse in Malamocco nel monastero di sant’Ilario, non era per altro monaco. Essendo morto dopo 25 anni di vescovado, le arti del nuovo doge Giovanni Galbajo promossero Cristoforo di greca origine. Appunto tra le sregolate azioni di quel dogado contasi anche questa, di aver posto sopra quella cattedra quel greco giovane di soli 22 anni, conculcati canoni e leggi, con lesione dei diritti del clero e del popolo. Giovanni, patriarca di Grado, si rifiutò di consegrare un vescovo eletto con tanta irregolarità, ed anzi, vedendolo contumace, fulminò contro di lui la scomunica. Irritato da tale repulsa il doge, ed offesa credendo la sua dignità, se non desse un insigne esempio della sua vendetta, per mezzo di sicari fece precipitare proditoriamente il patriarca da un’ alta torre. Questo assassinio orrendo costò la perdita della dignità e l’csiglio dalla patria ai due fratelli Galbaj. Non permettendoci i limili prescritti di parlare con qualche larghezza dei singoli vescovi, ed a nulla servendo un’ arida esposizione, ci restringiamo ad osservar poche cose intorno ai successori, insino alla erezione del vescovado olivolense, indi castellano, in sede patriarcale. Papa Leone IX scrisse a Domenico Gradenigo, vescovo olivolense nel 1053, confermandogli il diritto vescovile e vietando con autorità pontificia, che niun patriarca od altro vescovo nella diocesi olivolense esercitasse alto di giurisdizione ordinaria della cresima, consegrazione di chiese, ordinazione di chierici, censure, assoluzioni, sinodi ; salve a Grado le prerogative metropolitiche. Enrico Contarmi, figlio del doge Domenico, eletto vescovo nel 1074, soppresso il titolo di olivolense, prese nel 1091 quello di vescovo castellano. <3* 247 Fra li vescovi castellani ed il governo secolare non era mai, dalla fondazione della cattedra, nata alcuna quislione intorno alla giurisdizione. Insino dall’origine della città, escluse le cose spirituali ed ecclesiastiche, le controversie temporali dei chierici, o tra essi o co’ laici, erano dal giudizio secolare determinate. Marco Michele, vescovo di Castello, succeduto al Nicolai nel 1225, presa forse occasione dalla compilazione degli statuti veneti, essendo doge Jacopo Tiepolo, mosse quistione su ciò ; quistione che, da quanto scrive Andrea Dandolo, si compose così : che i giudizi delle cose immobili rimanessero al giudizio secolare. Ed in vero, insino dai primi capi della compilazione suddetta, si videro provvedimenti e leggi fatte dalla podestà del governo sopra cose immobili della chiesa, di monasteri, non meno che delle mense vescovili, e beneficiarie, e curate, sempre però collo scopo di proteggere la Chiesa e la religione. Aspre contese giurisdizionali ebbe lo stesso vescovo Marco Michele anche col patriarca di Grado. Il papa Gregorio 1\ delegò, con compromesso delle parli, a definir le controversie, il priore di San Benedetto di Padova ed altri dottori. Seguì nell’anno 1252 il giudizio arbitrale, con cui principalmente si decise: che potessero i patriarchi, come metropoliti primati, consegrar vescovi, benedire abbati, ordinar chierici anche nella chiesa di san Silvestro di Venezia, diocesi castellana, ma non potessero consegrar olii santi in essa diocesi : non avessero ad esigere in avvenire dal vescovo il giuramento di fedeltà, giuramento che il vescovo per lo avanti ogni anno prestava personalmente in Grado : fosse in diritto del patriarca la istituzione e correzione de’ chierici di cinque chiese castellane, restando gli altri chierici e parrocchiani di essa diocesi in giurisdizione del vescovo ; dovesse peri) questi in ciascun anno visitare per atto reverenziale il patriarca. Di Paolo Foscari vescovo nel 1567 pure diremo, che fu acre propugnatore dei diritti della sua Chiesa, e tanto dissidio ne nacque tra lui e la repubblica, che reputando non poter in coscienza adattarsi alle disposizioni emesse da quella, citò il doge a comparire innanzi la sacra Rota in Roma. Alla repubblica, che credea non