<3* 290 <*=- Delle consuetudini veneziane trattarono parecchi autori. Jacopo Berlaldo, già cancelliere ducale, poi vescovo di Veglia, nel principio del secolo XIV compose un’opera ragguardevole intorno alle medesime col titolo pomposo di Splendor venetorum consuetudinum civitatis. Esiste manuscritta nella imperiale biblioteca di Vienna sotto il n. 250, donde fu tratta il 12 gennaio 1847 la copia che ora ne possiede la veneta biblioteca marciana. L’autore raccolse, distribuì con bell’ ordine ed espose con chiarezza le consuetudini della città di Rialto in argomenti civili. Dice nel prologo che il diritto scritto degli statuti prevale per dignità e forza al diritto non scritto delle consuetudini ; ma che questo c prevalente d’ utilità, poiché dalle consuetudini sorge la luce che rischiara l’intendimento degli statuti, i quali senza tale ajuto ben si possono leggere, ma non comprendere. Accenna che le consuetudini estendono il loro impero sopra uno spazio minore di territorio, e gli statuti sopra uno maggiore : ond’ è che, mentre gli statuti veneziani imperano da Grado a Cavarzere, le consuetudini rivaltine non escono dai confini della città di Rialto. Quest’ opera, antica, curiosa e di sufficiente bontà intrinseca, meriterebbe d’ essere stampata (1). Molto posteriore di tempo, e notabilmente minore d’ estensione ed inferiore di merito, è la Pratica del palazzo veneto pubblicata dallo stampatore Bernardino Benalio nel 1528, come fu detto più sopra. È aneli’ essa desunta dalle consuetudini; ma essendo stata inchiusa nel volume degli statuti, ed ivi conservala in tutte le (i) Badando alla data scritta nel citato codice della irap. biblioteca di Vienna, si dovrebbe credere che la suddetta opera fosse composta nel 1245. Ma quella data è certamente sbagliata. Bertaldo s1 intitola vescovo di Veglia, accenna aver avuta esperienza del foro per più di trent1 anni, e dice scrivere mentre il seggio ducale era occupato da Marino Zorzi. Ma Bertaldo nel 1276 era tuttavia prete di San Pantaleone e notajo, nè quindi poteva esser vescovo trentun anno prima, nel 1245. Ma Bertaldo morì nel 1315, e non è quindi credibile che avesse incominciata la sua esperienza nel foro trent1 anni prima del 1245, cioè fino dal I2i5, cioè cent’anni prima della sua morte. Ma Marino Zorzi fu doge nel i3ii, e non poteva chiamarsi con questo titolo sessantasei anni prima, nel 1245. Dunque la data vera dell’opera deve essere appunto quella del i3ii. Per ciò dicemmo nel testo che fu composta nel principio del secolo XIV.