474 glia italiana a cui appartiene e intende appartenere.; ma porcili“, essendo negozio casalingo , desidererebbe che lo discutessimo Ira noi e non passasse gli Appenini. « Già da lungo tempo il popolo livornese e segno di vituperevoli calunnie. Se si sentisse meno forte nel suo diritto * se meno fosse generoso , potrebbe forse irritarsene; invece egli ne sorride di pietà. « £’ si guarderebbe dallo scendere a qualunque spiegazione con i suoi calunniatori, comunque in aito costituiti; ma con voi fratelli Toscani non v’ha giustificazione, non ¡schiarimento ch’egli volenteroso non voglia, anzi comprenda essere suo strettissimo obbligo dare, per prevenire lo stupido quanto infernale disegno della guerra fraterna. Uditeci dunque, o fratelli Toscani, noi \i diremo la verità; il popolo non mentisce; ad altri quest’arte, l.a bugiarderia è la dote degli schiavi : noi siamo e ci sentiamo liberi. E la verità i nostri figliuoli seppero dire tra le catene 4 gli esilii e i supplizi), come i martiri cristiani fecero testimonianza della fede di Cristo in mezzo ai tormenti •— perchè la libertà è una religione i e se lo rammentino i tiranni. Da ogni parte volgiamo lo sguardo, noi vediamo insidie ed agguati; Ora si adopera la frode, ora la perfida insinuazione; ora la discordia * ed ora la corruttela; in fondo scintilla un lampo sinistro — cotesto è il baleno che muove dalla scure del carnefice. Iddio usi misericordia a noi miseri traditi I Ma viene il subbietto. Stretto dalla forza dei tempi, il potere assoluto; comecché rèliil-tante, piegava l’ardua cervice e concedeva sottilmente riforme; le quali a fine di conto lasciavano intatto lo increscioso dispotismo. Allora sbucò una maniera di gente, la quale aveva avversato la tirannide solo perche non era messa a parte della tirannide. Cotesta genie subodorò il governo, e pensò potersene giovare nei suoi disegni presenti, e meglio negli avvenire, pe’suoi fini avvenire. Questa gente ci s’impose per capi e si disse nostra mandataria : noi la lasciammo fare, ma ci guardammo bene di confidare le nostre sorti in mano tanto sospette. Nè i timori nostri apparvero vani, conciossiachè, posli a parte delle prerogative del potere, di finti liberali essi si convertirono in veri proto* riani, e lo furono, calunniando delle note più atroci chi non accettava il nuovo ed insopportabile giogo. Ma il popolo non aveva concepito cosi i nuovi ordinamenti ? noi credemmo che le basi fondamentali si avessero a mutare o modificare per quanto lo consentissero i tempi e il predicato progresso della civiltà. A noi importava meno che la legge emanasse da dicci o cento persone quanto che nella legge incominciasse a mettersi un cuore che sentisse pietà delle nostre miserie« Noi amiamo la libertà ; noi desideriamo la indipendenza italiana; ma desideriamo eziandio che quando i figliuoli nostri ci domandano pane noi abbiamo facoltà di somministrarglielo. Ma coloro che si posero a nostro capo non la intesero in questo modo; messi appena a parte del potere, si chiamarono contenti; anzi