284 essere stato ed essere il papato motivo eterno di rovina all’Italia. Per la religione poi, diversamente io penso, e credo senza religione non sieno possibili libertà, civiltà e uè società. Intorno ai principi poi io distinguo i nuovi dai vecchi. Forse potrebbe darsi, ma non lo credo sicuro, che con principi nuovi possa Carsi un patto, ed anche sperare di vederlo osservato, e la storia ne porge parecchi esempi. Quasi impossibile poi par-mi che possa questo ottenersi con principi vecchi; e la ragione si è questa, clic, nel primo caso, quanto si trovano a possedere sembra acquistato, nel secondo quanto non riesce loro mantenere, dolorano come perduto. Però io credo che al desiderio dell’indipendenza potessero e dovessero i popoli lare in parie il sagrilìcio della libertà, a patto però che un principe italiano, feroce e magnanimo, aprisse un’arca de’famosi imperatori di Roma, ed abbrancandone a piene mai le ceneri se le gettasse sul velloso petto per riscaldarsene il cuore. Questo principe avrebbe avuto in premio della perigliosa impresa la corona di ferro, il plauso dei presenti, o la rinomanza nei posteri. Voi, chiarissimo signore, reputaste possibile un^mosaico di re per la impresa supremamente unitaria. E come non consideraste voi la natura umana, che si muove per interessi, per cupidità, per gelosie, per paure, e per voglie diverse?. Come non comprendeste varie le condizioni dei principi italiani? Come non gli animi necessariamente discordi? Voi, perdonate, esimio signore, consideraste i principi come frammenti di architrave della vostra fabbrica, che grandi o piccoli, murati al posto, vi rimangono saldi e vi fanno bella apparenza. Voi, parliamo aperti, perchè io abborro come le porte dell’inferno la lin gua dolosa, subdola e mendace, voi desiderate il re del Piemonte re della universa Italia, ed io pure lo vorrei, purché l’Italia fosse una, ma dite: Col vostro re Carlo Alberto, potrete voi conseguire questo intento? lo ini asterrò da qualunque acerba considerazione sopra la vita passata di lui. E se dura necessità fu quella che lo strinse a mutare fede, o sembianza di fede, e a colorire l’apparenza col sangue, ah ! sacerdote Gioberti, voi dovete convenire che quella fu una ben trista necessità! Ma adesso, vinto in guerra, sospetto di avere mandato male l’impresa per cupide dimore, nè voglioso nè polente a sgombrare le male piante che sono abbarbicale intorno al suo trono, di corpo mal fermo e della mente peggio, i ministri esosi ai popoli inetti e cattivi, per quanto ce ne porge la lama, oh! come volete che ei possa sollevare la spada fatale, che libererà la Italia?— Forse, se egli seguitasse lo esempio che non è nuovo in famiglia, deponendo uno scettro diventato troppo peso alla sua mano tremante, i suoi figli, come giovani aquile, potrebbero percorrere tanto spazio di cielo. Ancora, io non bene colla niente comprendo a che e come uomini, eletti dalla universa Italia, abbiano a convenire a Torino ! Volete, voi contare sui principi o piuttosto sopra i popoli? Se sui principi, ma noi non siamo mandatarii di loro; gl’insospettirà il nostro convegno; alle già tante, e tremendissime tutte, si aggiungerà questa nuova paura. Simile assemblea non diranno ribelle, ma si nel cuore per tale la giudicheranno e la abboneranno; onde per questa parte il concetto vostro è perduto. Se sopra i popoli, e allora potendo i popoli fare da sè, oh! perchè volete voi sottoporli ad un padrone? Voi sapete meglio dì me essere sentenza di Omero,