376 danno e irreparabile: ricadere in mano dell’Austria, o di chi negozia con essa la sorte e l’onore de’ popoli ! IL POPOLO A CARLO ALBERTO CANTO DI ARNALDO FUSINATO •ALBERTO, discendi dal soglio regale, Che il grido del popol tant’allo non sale ; T’invola agl’incensi d’un stuolo codardo, Che bacia il tuo scettro, che larabe il tuo pié. Con fronte severa, con libero sguardo 11 popolo s’alza e parla al suo Re. Alberto, rispondi — Ti passa davanti Immensa una turba di poveri erranti ; Ed essi che un giorno festosi, ridenti, Spargeano i tuoi passi di canti c di fior, Perchè ti sogguardan pensosi, silenti Col ghigno sul labbro, coll’ ira nel cor? Perchè sotto l’ali del patrio stendardo Non brilla la spada del grande Nizzardo? Quel brando che invitto sui liberi campi Di Montevideo tanti anni splendè ; Ha forse in Italia perduto i suoi lampi Perchè non pugnava pei troni, pei Re? E là quella selva di lance e di spade Perch’ora minaccia le Tosche contrade ? E forse sui petti dei loro fratelli Che i forti del Mi ncio vorranno passar? Tornate tornale — d’Italia i flagelli Discendon dall’ Alpi, non vengon dal mar. Alberto, rispondi — 1’ insano consiglio, ¡_xChe attosca per tanti il pan dell’ esiglio, Che copre d’ un scudo la Volpe Toscana, Partia dal tuo labbro o venne da lor, Che pari alla bruna fischiata sottana Han T anima negra, han sucido il cor? Oh tronca una volta I’ astuta parola Ai sozzi bastardi del frate Lojola: Oh troppo finora di rancide iole Avvolsero, o Prence, la facil tua fé; Il Popol ti guarda, e il Popol non vuole La stola d’Ignazio sul petto dei Re. Al Popolo svela, al Popol sovrano Dei giorni che furo l’orribile arcano; La tenda distesa sui campi di Volta Del Popolo al guardo sollevisi alfin; Ch’eisappiaperCristo! ch’ei sappia una volta Se in te fu più grande la colpa o il destin. Finché non baleni la Iuee del vero Agli occhi del mondo se’ ancora un mistero; Nel dubbio fatale chi t’ odia, chi t’ ama, Chi vuoiti tradito e chi traditor ; Se 1’ uno la spada d’Italia ti chiama, Quell’ altro ti grida il suo feritor. Dall’ ira travolto d’ un nero sospetto Il labbro di mille t’ ha già maledetto; Chi accenna fremendo Milano caduta, Chi addita il destriero trafitto al tuo piè, E come una vela dal vento battuta Il Popolo ondeggia tra il dubbio e la fè. Ti chiama tradito — ma sorge il passato, Che muto fantasma s’ asside al tuo lato; Un lembo solleva del manto regale, E sotto le gemme che a noi le celàr, Agli avidi sguardi col dito fatale „ Due macchie cruente lo vedi accennar Oh Alberto, alla fronte ricingi il cimiero, Va, slancia quel manto sul campo guerriero, E allor che le macchie saranno lavate Nel sangue esecrato de’nostri oppressor, Ai popoli grida : guardate guardate È tinto il mio manto d’ un solo color. Oh guai se t’arresti! —la man del destino Ti spinge, t’incalza nel grande cammino: Un giuro solenne dal labbro t’è uscito, Oh guai se bugiardo quel giuro sarà! Non vedi? la spada del Popol tradito A un filo sospesa sul capo ti sta. Cammina cammina — nell’ ora solenne All’ire discordi cadranno le penne ; Un’onda infinita di popol fremente Sui franchi tuoi passi concorde verrà; Sarai quella falda di neve cadente, Che giù per la china valanga si fa. Cammina cammina — sui campi Lombardi Ti aspettano l’ombre de’ nostri gagliardi; L’ Italia redenta dal giogo abbonito Verrà sul tuo capo l’alloro a posar. E forse allo sposo che riede pentito Dirà : ti perdono, la Bella del mar. Cammina cammina — davanti la gloria, Il facil trionfo, la certa vittoria, Di dietro l’infamia col marchio infocato, Che il tempo nè Dio potran cancellar: Alberto, decidi — il dado è gittato, Il trono o la polve, 1’ avello o 1’ aitar.