447 decidersi intorno alle condizioni della mediazione. Però, il solo ministero è giudice dell’opportunità di far la guerra o la pace; questa opportunità non risulta che dai fatti; e quando i falli siano certi, il ministero è risoluto a far la guerra. Sia i fatti, che potrebbero dar. ragione di questa opportunità, sono ancora incerti; non è ancor certo che Vienna non sia ancora tornala nelle mani di Jellacic, come non è ancor certo che la lotta fra gli Slavi e i Magiari si sia sviluppata nelle lile dell’esercito di Radetzky. Conchiude poi l’oratore coll’esprimere il timore che, entrando noi sulle terre lombarde, ci potremmo trovare a fronte un esercito non diviso, ma bensì più disciplinalo del nostro (llumori di disapprovazione). JUontezemolo sale alla bigoncia, e premette che, nella gravità dei tempi che corrono egli non vede davanti a sè che cittadini; che non fa opposizione alcuna di persone. Chiunque salva la patria, dice egli, abbia la mia riconoscenza ; son pronto a porre la mia testa sotto i suoi piedi per elevarlo di più. Dichiara però che non è inaccessibile a fronte dei varii sistemi politici; non crede che due vie diverse conducono alla stessa meta, e domanda al criterio della nazione, al Parlamento, una migliore direzione della nostra politica. L’oratore rianda quindi le parole del ministro, animelle che possano essere buone le intenzioni, ma non corrispondenti a queste i mezzi; ne sian prova i fatti stessi, riportati nel rendiconto ministeriale. Ma sul passato, dice egli, tiriamo un velo; non abbiamo bisogno di riandare antichi dolori in presenza dei dolori presenti. Osserva poi che il ministeriale rendiconto non accenna al riconoscimento del regno dell’alta Italia; non protesta contro le occupazioni militari di Piacenza e di Parma ; contro l’aver l’Auslria ricollocato sul trono il grazioso duellino di Modena. Finelli interrompe l’oratore, e dice avere il ministero protestato contro queste occupazioni militari. Ferrane, presidente dei ministri, legge a tal proposito alcuni brani di un suo dispaccio, relativo al blocco di Venezia per parte dell’Austria, ed all’ordine dato alla nostra flotta di recarsi a difendere la gloriosa città; e ciò prima ancora che fosse noia la nuova rivoluzione dì Vienna. Montczemoloy ripigliando trova occasione dal dispaccio letto di nuovi rimproveri al ministero. Tulto è buio, esclama poi; era buio ieri, è buio oggi, sarà buio domani come ieri (Bene! bene!). Conchiude che, se il ministero non è felice nelle sue vie politiche, non lo è meglio nelle vie amministrative, e qui passa brevemente in rassegua quasi tutti gli atti emanali dal medesimo, e specialmente quelli dell’interno. Termina poi dicendo: Signori ministri, un gran pensiero vi occupa, vi atterrisce; voi avete troppa paura dei repubblicani: date libertà grande e sincera, guarentite l’indipendenza della nazione, e non avrete nulla a temere. Il vicepresidente chiama il deputato Valiero alla bigoncia, ma l’ora tarda consiglia alla Camera di rimandare la continuazione della discussione al domani. La seduta è sciolta alle ore 5.