343 però disarmati c circondarono da tulli i lati le truppe. Tutto a un tratto cominciarono a farsi sentire dei colpi di fucile da una parte e dall’altra. Imi allora che il generale conte Braida, il quale comandava a cavallo le truppe, diede l’ordine di far fuoco; ma non appena questa parola era sortita dal suo labbro, ch'egli cadde da cavallo colpito dalle palle di un granatiere e ili uno studente leenico. Cominciò allora formale battaglia; la guardia nazionale e la legione avevano una posizione sfavorevole; favorevole era quella del militare perchè coperto dall’argine. I primi si ritirarono quindi nel sobborgo Leopoldino; la legione aveva avuto 5 morti, il militare da 20 a 30. Una parte dei granatieri tenne dietro agli studenti e si uni a loro. Una fila lunga di carri, carichi di bagagli delle truppe destinate per l’Ungheria, ingombrava lutta la Jiigerzeile dal Prater fino al ponte Ferdinando; tutti però furono obbligati di ritornare indietro. Frattanto il popolo, dopo aver attaccato alle spalle l’artiglieria, aveva preso A cannoni, due dei quali vennero condotti in trionfo in città, gli altri due furono gettati nel Danubio. La guardia nazionale del sobborgo Leopoldino si tenne in questa occasione assolutamente neutrale. Frattanto ila tutte le parti si udiva battere l'allarme, e molte compagnie della guardia nazionale occuparono la chiesa di S. Stefano e il campanile per impedire che si sonasse a stormo. Il popolo e gli accademici però pretendevano che si aprissero le porte, e la guardia nazionale vi si oppose. Fu allora ch’ebbe luogo uno di quei funesti malintesi, che hanno una parte tanto importante nella storia della nuova rivoluzione europea. Un battaglione della guardia nazionale del sobborgo Wieden giunse a passo celere nella piazza di S. Stefano. Le guardie nazionali di altri sobborghi, che vi si trovavano già, fecero fuoco, Dio sa per quale motivo, e si accese allora viva battaglia sulla piazza e nei contorni. Il battaglione del sobborgo Wieden, quantunque più forte di numero, si sciolse da prima e si diede a fuga disordinala, ma poi si raccolse di nuovo e obbligò alla sua volta le guardie nazionali degli altri sobborghi a ritirarsi; alcune di queste si rifugiarono nella chiesa, dal cui campanile erano caduti già prima alcuni colpi sul popolo inerme nei contorni: altre si ritirarono nella così detta Casa tedesca e nella Casa dei preti, dalle cui finestre erano pure caduti varii colpi. Somma fu allora l’indignazione; in tutte le vie s’udì il grido: » I giallo-neri sparano dalle finestre e dal campanile di S. Stefano « e nel-l’Università echeggiò il grido: » Su, si vada alla piazza di S. Stefano! cannoni! * Uno dei cannoni, presi dagli operai, venne trasportato sul luogo del conflitto e posto rimpetto al palazzo detto Casa tedesca, onde rispondere colla mitraglia al primo sparo, divelto infatti dalle finestre. Ma la lotta non era ancora con ciò finita; e, cosa rimarchevole, ad onta di alcune migliaia di schioppettate, si sparse poco sangue, e da quanto potei rilevare, soltanto due individui rimasero morti e circa 20 feriti. Il popolo e gli studenti atterrarono indi le porte della chiesa, credendo che in essa si celassero ancora delle guardie degli altri sobborghi; si visitarono tutti gli angoli, ed era strano a vedere come si cercava nei confessionali e nei pulpiti, come cacciavano le baionette sotto gli altari, come