19 allarme. Non si dettero nemmeno le due ore di tempo che sono fissate anche dopo che un parlamentario ci avesse dichiarata la guerra. Le nostre batterie ed opere esterne risposero con mirabile bravura al fuoco continuato delle batterie nemiche, ma la differenza che passa tra una fortezza che abbia tutti i suoi fuochi divergenti sopra un raggio di mille metri, e undici batterie, forti di 36 bocche a fuoco che tutte concentrano i proiettili ad uno stesso punto, è tanto grande, che mentre noi smantellavamo alcune opere loro che erano a noi visibili come son le batterie dei proiettili dei fuochi diretti, ossia ficcanti, essi ci rendevano il paese in un mucchio di pietre. In meno di tre ore essi avevano fatto assai più male alla fortezza di quello che noi ne avessimo fatto in tutto il tempo dell’assedio, e ciò per la potente ragione che essi, conoscendo Peschiera come conoscono il palmo della loro mano, ogni colpo aveva un effetto, e difatti tutti i loro fuochi erano diretti ai punti più importanti della piazza: pochi de’loro proiettili erano tirati a vuoto. Tale fuoco infernale durò fino alla mezza notte. Pendente tutto questo tempo il generale aveva fatto il giro di tutte le batterie e guardie, caserme e posti, esaminando se ogni cosa, ogni batteria, ognuno delle diverse armi occupavano i posti e luoghi prescritti. Il fuoco ricominciava alle 2 e mezzo del mattino, quindi fra le tenebre della notte, e durava fino alla mezza notte del giorno 10 colle fasi necessarie, cioè ora essendo eseguito a precipizio ed ora rallentando alquanto. L’aggiustatezza dei fuochi nemici diretti sempre dalle loro cognizioni della fortezza, alle undici di mattina ci fecero saltare in aria una polveriera contenente 500 bocche cariche o molti barili di polvere. Questa orribile esplosione che aveva tutta l’aria dell’inferno durò circa un quarto d’ora, durante il quale ognuno aveva l’intima persuasione che fosse con questa suonata la nostra ultima ora, giacché saltavano in aria pezzi di bastione a dirittura, ed aU’ultimo scoppio terribile che fecero i barili di polvere diroccò un bastione, aprendo cosi una breccia di 30 metri. Finalmente le esplosioni cessavano e non rimanevano che i frutti la-grimevoli della distruzione ed un incendio stabile che consumava ogni cosa di materia suscettibile d’incendio. Le caserma,di fanteria erano crivellate, e quelle dell’artiglieria un ammasso di sassi. Noi avevamo oramai rinunziato ad ogni speranza giacché, se quel soffocante precipitare di fuochi fosse continuato tre giorni, avremmo certo fatto la line di Missolungi; una breccia aperta nei bastioni che guardano Cavalcasene ci metteva poi nella necessità di prendere le più energiche determinazioni per impedire l’invasione entro la fortezza. Le promesse al partire del parlamentario erano state che, se non si fosse arresa la fortezza e eli# avessimo obbligato il nemico all’assalto della fortezza per la breccia, la nostra sorte sarebbe stata di essere passati a fil di spada. Col quadro descritto innanzi, il nostro vivere non era il più bello; ma ognuno, io credo, entro di sè approvando la condotta del Governatore aveva giuralo di morire e non rendersi. Mentre che più ci credevamo a cattivo partito un parlamentario austriaco lece strillare la tromba e alla mezzanotte del giorno 10 io andai a riceverlo: ed adempiuta la solita formalità lo condussi al Generale cui egli presentò il dispaccio che conteneva la convenzione d’armistizio e dichiarava cessate le ostilità. Il colpo tentato dal Generale tedesco era il