89 vcnzioiie, la sarà un’alleanza, un sostegno fraterno, che gioverà al più torte quanto al più debole. Venezia non vuol decidere sola, dal fondo delle sue lagune, una questione che concerne tutta l’Italia; e però ci rivolgiamo a voi. Rispondeteci al più presto. « Il governo del Piemonte nulla rispose; le parole degli altri non venivano a conclusione. Si aspettava la sconfitta; si voleva riserbare a RadeLzky la consolazione non ¡sperata di riputarsi il Napoleone de’nostri dì. Se l’invito di Venezia fosse statp tenuto, si sarebbero cansati molti rimproveri e molli rimorsi; si avrebbe forse risparmiato alla Francia la guerra civile, od almeno se ne sarebbero diminuiti gli orrori. E poiché sono in sul parlare di me, rammenterò pure un altro provvedimento da me proposto, che avrebbe dato alle cose d’Italia tutt’altra piega, lo voleva che l’Assemblea, formata col suffragio universale delle provincie a enete, allora unite, fosse prontamente convocata nel mese di aprile. Questo sarebbe stato un vincolo tra le provincie, che non si sarebbero distaccate; l’esempio di Venezia sarebbe stato seguito da Milano, poiché era esempio di libertà e probità. Le due assemblee, congiugnendo i due paesi, come il voto quasi generale chiedeva, avrebbero fondato uno stato libero, il quale, nel processo, dopo una deliberazione matura ed indipendente, si sarebbe costituito a monarchia od a repubblica, si sarebbe assoggettalo od unito ad altri stati. Non si avrebbero avuto i registri di sos-erizione, parodia del suffragio universale. Io ho protestato contro la fusione col Piemonte, perchè uè il tempo nò i mezzi non mi parevano bene scelti. Ho protestato contro uii atto, in cui la violenza e la frode, la speranza e il timore ebber parte, od almeno pareva che ne avessero una troppo deplorabile. Ho predetto che Carlo Alberto sarebbe re delle provincie aggregate, ma re in partibus Germanorum. Però, non mi curava punto d’essere profeta a tal prezzo; avrei voluto aver torto, purché il paese ch’io amo fosse felice e onorato. Sono stato costretto a parlare di me, poiché mi sta a cuor dimostrare ch’ebbe coerenza fra’miei principii e’miei atti, e che non fui balzato dal carcere al ministero, e dal ministero sulla terra di Francia, per rinnegare le credenze della mia vita e le indomabili necessità dell’anima mia. Ho sempre amalo quant’è di sapiente, di solido^ di generoso nella letteratura e nell’indole francese. La pruova della mia affezione sincera e riconoscente verso la Francia, è che dopo dieci anni d’assenza, dopo dieci anni, certi mesi de’quali valgono per generazioni intere, ci ho conservato e ritrovo ricordanze dilette ed illustri amicizie. Ora, quel che fo, fo in tutta coscienza, poiché nulla chieggo per me, ed anelo di tornare nella mia solitudine, non appena mi sia dato vedere l’Italia libera e in pace. Quel che domando, domando a fronte alta, e con l’autorità dell’uomo, il quale chiede l’adempimento d’un dovere. Penso, che, in questo tempo, un intervento non potrebbe essere un’invasione; stimo utile che i popoli aneli’essi comincino ad usare fra loro i diritti e’debiti d’una santa alleanza. Veggo le nazioni stanche, languenti, e giacenti come pecorelle senza pastore; le veggo diffidare le mie delle allre^ e commetter piuttosto la loro sorte a mercadanti ed a traditori. Gli avvenimenti si premono, e a niun preme di coglierli; la strada è lunga ed inevita-