239 2 Ottobre. (dalla Gazzetta) Il giornale 1’ Opinione, sino dai primi giorni, in cui l’Italia mostrò di scuotere il giogo straniero, si accinse a perseguitare tutti coloro che giudicava propensi alla repubblica. Nessuno degli scrittori, o degli uomini di stato, che a tal forma di governo mostrasse di dare la preferenza, venne da lui risparmiato. Di tutti gli avvenimenti funesti alla causa d’Italia, di ogni disastro, di ogni soccombenza nelle battaglie, accusò sempre i repubblicani; nè questo linguaggio il Bianchi-Giovini ha mai dismesso, e lo mantiene ancora oggidì. Gli uomini, da lui presi di mira, erano fatti ormai sordi a quella voce seminatrice di discordie, e cosi formavano la più bella risposta a tante declamazioni, assurdità ed invettive. Fuvvi chi nel National di Parigi si querelò dello stile accusatore dell’ Opinione assumendo la difesa dei repubblicani in Italia ; ed allora il Bianchi-Giovini, contento di trovare un avversario che si curasse delle sue parole e del suo giornale, vomitò la bile antirepubblicana contro 1’ anonimo. Scrisse quindi quell’articolo, che leggesi nel N. 491 dell’ Opinione, e che molti altri fogli hanno riportato. Non è nostro intendimento toccare il principio, agitare la questione delle forme di governo. Il Bianchi-Giovini le conosce sì poco, che sarebbe opera perduta. Esso domanda ai repubblicani la definizione di popolo: noi saremmo inclinati a domandargli quella di repubblica. Il popolo, die’ egli, non può amare la repubblica, die non sa che cosa sia, cpiasi che sapesse che cosa sia regno costituzionale, per amar questo. E sì che se il popolo, ch’egli disistima tanto, concepisce solo le idee più semplici, pare che piuttosto dovrebbe arrivare a comprendere la prima delle forme, anziché 1’ ultima. Ma noi Veneziani non possiamo parlare di popolo che con prevenzione, noi che da sei mesi abbiamo fatta esperienza quanto esso sia saggio ed intelligente. Non è dunque la questione dei regni o delle repubbliche che ci muove a parlare, ma quella dei fatti. A chi legge gli articoli del Gioviui dee parere che, nell’ indagine dei fatti, esso debba mettere tutto lo scrupolo, e che quanto dice debba valere perchè nessuno si leva a contraddirlo. Noi vogliamo fatti, grida egli, non declamazioni o sospetti. Ma Dio ci guardi, se la storia degli attuali avvenimenti d’Italia dovesse venire scritta dal Bianchi-Giovini ! Noi che vediamo con quanta cognizione e con qual retto giudizio ei parla dei fatti nostri, ce ne spaventiamo giustamente, e non possiamo tacere allorché nel predetto articolo troviamo questo passo risguardante Venezia: » Se da Milano ci trasportiamo a Veneziaj che cosa ha fatto Tommaseo » alla sua repubblica ? Non armata una scialuppa, non provveduto ad una » fortezza, non organizzata la guardia nazionale, non formato un reggi-» mento, non riordinata l’amministrazione; settantamila fucili, invece di » servire ad un esercito regolare, quale si conveniva alla terraferma ve- * neta, furono dispersi fra i cittadini; e Nugent potè percorrere ottanta » miglia senza quasi incontrare un soldato. E questo succedeva in un * paese, ove i Trivigiani, i Cadorini, i Bellunesi, i Vicentini dimostrarono » un coraggio eroico, e degno dei più gloriasi nostri secoli. Che non