485 ringrazia il ministero d’avere latto sonare con lode dalla ringhiera il nome di Giuseppe Mazzini; 11011 perchè, dice egli, io divida tutte le sue opinioni oltre l’ultimo confine della democrazia ; deputato del popolo, ho prestato giuramento al re ed alla Costituzione, e mi terrei spergiuro sp operassi per la repubblica; ma lo ringrazio perchè in Mazzini amo l'antico fra-, tello nei dolori della patria, perchè nessuno più di Mazzini soffri coraggiosamente per l’Italia, e perchè il suo politico concetto, non parlo della sua forma di governo, sarà quello che darà fondamento alla compiuta ri-generazione italiana. Disse il sig. ministro che, se Mazzini non si è mosso ancora verso Milano, è perchè sa di non potervi entrare. Ed io accerto il sig. ministro che il partito repubblicano non per altro ha sin qui indugiato a occupare la Lombardia, se non perchè teme di opporre ostacolo alla liberazione italiana, dividendo in due campi i fratelli. Deliberate la pace, ed io vi accerto che la repubblica delibererà la guerra. Con inusitata schiettezza, il sig. ministro non esitò a rivelare alla Camera alcune piaghe dell’esercito iiostro; ma io gli domando: e l’esercito austriaco che abbiamo a fronte, è forse senza piaghe? Egli lamenta l’indisciplina, e adduce a prova Jo scompiglio dei nostri soldati appena, erano percossi da un primo rovescio. Ah! non è la perdita di una battaglia che scompigliava i nostri soldati; erano i disagi, le malattie, la fame, e più di lutto era la mancanza di sagaci ordinamenti. Soldati austriaci così disciplinati, così bene condotti da superiori capitani, non si scompigliarono forse dinanzi ai Piemontesi e ai Lombardi dopo le gloriose giornale di marzo? Non si vedevano per tutte le \ie, per tulle le campagne, per tulli i villaggi errare a torme Boemi, Ungat i e Croati, e offrire in cambio di pane la sciabola e la carabina? (Granili applausi). Non si apponga adunque al nostro esercito quella che è legge ilo Io-rosa dell’umanità; e mi permetta il sig. ministro ch’io gli rappresenti che la guerra, a cui noi invitiamo l’Italia, non è solo guerra di soldati, ma guerra di popoli rivoluzionarii, nella quale più che le mosse regolat i prevalgono i magnanimi ardimenti. (Applausi vivissimi.) Qui l’oratore dice increscergli di non avere udila la prima parte del discorso del preopinante ministro, e passa a rispondere ai ragionamenti del sig. ministro degli affari esterni e del sig. deputato Cavour. 11 sig. ministro degli affari esterni, aggiunge egli, il quale prova con nuovo esempio che la gloria delle armi ben si congiunge colla sapienza dei pubblici negozii, ci disse a chiare note nói) esser egli contrario alla guerra, solo volere che si aspetti ad iniziarla sollo più saldi auspizii. Attpndiamo, diss’egli, che i dissidii dell’Austria ne abbiano consumala la forza, attendiamo che l’occasione, ora favorevole, diventi più favorevole ancora; e allora getteremo il guanto della guerra. Ma non teme egli, il signor ministro, che l’occasione che oggi ci si offre, non si offra più domani? È egli da saggio il non prevalersi di una lieta opportunità, nella speranza elio un’altra più lieta presentare si possa? ... e se più non si presentasse! (Approvazione generale.) Non per altro, o signori, i nostri antichi padri presentavano la for-