371 Ieri si andò, c oggi pure si va dal popolo a S. Antonio, a conversare coi Piemontesi; i Tedeschi ci vedono e non parlano. Oggi specialmente sono ammutoliti e mortificali. Lunedì sera si cantava per le vie di Parma l’inno di Pio IX, e martedì sera in quel teatro lo si voleva sonato dall’orchestra; ma, anziché aderire, si fece calare il sipario, sicché, al-1’ uscire, i! popolo sdegnato, trovando graduati e soldati austriaci per la città, si avvicinava loro ali’orecchio, e quindi a piena gola gridava: Morie ai Tedeschi! viva VItalia! viva l’indipendenza! II corrispondente, che fu testimonio dì queste scene, chiude la lettera dicendo: « « Siamo alla fine, e speriamo di essere una volta liberali da tanti affanni. » » Assicurasi che, fra breve, le truppe austriache sgombreranno dal ducato di Parma e Piacenza; e verrà questo definitivamente occupato dal Piemonte. Alcuni reggimenti sardi mossero già a quella volta per prenderne possesso. L’associazione italiana degli emigrati aprì la sua prima adunanza col seguente discorso del sig. Correnti: Parlare in questi tempi, ne’quali la santità delle idee fu sì crudelmente sconsacrata dall’ironia del destino, nei quali la parola si fece ministra di letargiche lusinghe, d’imbelli querele e di fratricidi garriti, è per me uu supplizio. Ma poiché io credo che voi siate qui raccolti per meditare e compiere opere virili, vincerò la vergogna; la quale pur tuttavìa mi dice che uomini, dopo tanta magniloquenza di promesse venuti allo stremo in cui noi siamo, non hanno altro partito onorato che tacere e fare. Pur troppo, nelle prime nostre prove di politica virginale ci ammollì quella stessa magica armonia di parole, che ci aveva scossi alla vita; pur troppo ci addormentò la seduttrice fortuna, e gl’infausti sonni ci consentì quella stessa fede miracolosa, che ci aveva d’un tratto maturati agl’ improvvisi cimenti. Ed ora ci destiamo nella sciagura e nel dolore profughi e vinti. Dolori nuovi, sciagura nuova, nuova esperienza, nuovi pericoli. Ver > è che, sotto l’acuto sprone della necessità, difficilmente impigriscono gli animi; ma anche il dolore ha il suo letargo, anche la sventura ha le sue seduzioni. Dopo aver esagerato la speranza, molti esagerano lo sconforto; dopo aver salutato il Magiaro, il Croato col dolce nome di fratello, molli ora gridano infami i fratelli di patria e di martirio; dopo aver creduto tutto facile, ora credono tutto impossibile. È tempo, concittadini, di vincere questa giovanile intemperanza di giudizii e d’affetti. Tempo è che al senso del vero cedano queste esorbitanze dell’immaginazione, la quale ingigantisce i mali e travede ad ogni passo un insolito concorso d’avversi casi, e un’infernale sapienza di macchinazioni nemiche. No ! non sono i nostri esterni ed interni nemici sì forti e sì astuti, come la paura e l ira lo vanno persuadendo. Combattemmo una campagna infelicemente, ma non siamo vinti: perdemmo il territorio tra il Mincio ed il Ticino, ma non fu perduta la patria e neppure la Lombardia. Sì, in noi, popolo profugo, è ancora lume di mente e volontà di sacrificio, eom’c divina perduranza nel popolo rimasto sotto le verghe e le