436 zia, egli piacque lassù che principia, cagione c sostenimenti) del notabile latto fosse una schiera di quegl’italiani sfortunatissimi, che l'Austria a colpi di verghe costringe a guerreggiare la patria e puntellare la sua tirannide. Ma la voce dei lontani fratelli penetrò nel cuor loro, e sentirono e riconobbero che il servaggio ungherese saria primo anello alle dure catene d’Italia. In tal guisa, o principe, la Provvidenza ripara con patenti prodigii gran parte dei danni, che il peccato, non vostro ma della sola fortuna, rovesciò addosso alle armi italiane, e che il vostro petto magnanimo con ferma serena calma sostenne. Noi sappiamo, o sire, che ferve nell’animo vostro un’eroica impazienza di giovarvi prontamente delle prospere congiunture, e voi solo, o pochi altri con voi, non avete guari dubitato delle sorti d’Italia: talché, aspettando eziandio patti e profferte di pace, mai non avete tolta la mano d’in sull’elsa della spada, ricordandovi dell’intrepido predecessor vostro Filiberto, il quale, perduta pure ogni sua provincia, non disperò, ma riebbesi animoso e vinse e ricuperolle. A voi pertanto debbe accrescere, se non coraggio ed intrepidezza, conforto almeno e compiacimento Io scorgere a chiari segni come, non solamente ne’popoli vostri, ma in tutti gli altri della penisola ferve ora la stessa impazienza di ripigliare le armi e romper col ferro i nodi e i viluppi dell’astuta diplomazia. Il Congresso della Società nazionale per la confederazione italiana, che parla a voi per la nostra bocca, ve ne rende larga e sicura testimonianza; imperocché, componendosi esso di cittadini, qui accorsi e adunati da ogni provincia del bel paese, fanno fede legittima del volere e sentire di quelle. Di giorno in giorno, anzi, a dir più vero, d’ora in ora aumenta e moltiplica il desiderio e la brama ansiosa d’ un nuovo conflitto, e una profonda voce dell’animo fa a tutti pensare e conoscere che l’oscitanza e gl’indugii tanto souo funesti alla causa nostra, quanto giovano quella degli avversarii. Lode a Dio, o principe, comincia ad avvampare nei petti italiani una generosa vergogna di aver preso grave sgomento d’un subitaneo disastro, quale la guerra suol dare. Essi, già ricreduti delle troppo vive speranze riposte in altrui, tornano con magnanima risoluzione ad aver fede unicamente in sé stessi. Tal fede, o sire, riuscirà cotanto più salda e incrollabile, quanto, non della varia fortuna, ma sarà figliuola della virtù e della costanza, quanto sono moltiplicate le ingiurie e le ferocie dei barbari, quanto lo sdegno avvampa ora più profondo e legittimo, quanto l’onore delle armi, la gloria del nome italiano, il sangue dei fratelli non ancora vendicato, il frutto di mille sagrificii non ancora raccolto, la necessità stessa dei mali presenti, o la certezza ed enormità dei futuri, ci costringono oggimai a combattere con salutare e invincibile disperazione. Il Congresso della Società nazionale offre e promette alla M. V. di concorrere alla santa impresa con tutti que’mezzi, che le facoltà sue non solo, ma la virtù e gli sforzi di uno zelo operoso e incolpevole sono capaci di porre in atto. La stella, che la M. V. aspettava, tiene il mezzo del cielo; trenta secoli di civiltà le hanno preparato il cammino.