481 i mascherali vagheggini, e i guerrieri improvvisati nei Caffè e sui teatri. Ora li conoscono più da presso questi Italiani; non è plebe aizzata dai ricchi con promesse di oro, che tolga loro di mano i cannoni, come supposero avvenuto a Milano; furono i figli che portano i più celebrati nomi d’Italia quelli che affrontarono la loro mitraglia, clic stramazzarono i loro artiglieri, che seco trassero le ignivome bocche; le loro barricate le superarono gli azzimati giovinastri, le loro case fortificate si arresero agli studenti dai guanti gialli. E non fu il numero che li schiacciasse, chè noi eravamo uno contro due; non la posizione, interamente ad essi vantaggiosa, poiché padroni delle case di dove tiravano inoffesi; padroni dei ponti e dei passaggi angusti, da cui puntare i cannoni, mentre per noi erano le vie aperte, liberi i campi: e con un migliaio appena, che marciava contro una doppia forza nemica così bene presidiata, ne abbiamo fatto cadere 300; 600 femmo prigionieri; gli altri fuggirono.* Un’orda immane di 100 migliaia, che ti sì muove incontro compatta, e un triangolo di fortezze, cinte e ricinte di muri e di bronzi, fanno il valore au-striaco-croalo; quello italiano, gli scontri e le pugne pari a quelle di Mestre. A nessuno meglio che a quel Generale, al cui gran nome risponde così bene il fatto glorioso, si appartiene di narrare i tratti di valore e di coraggio, per cui si distinsero i bravi ch’egli stesso guidava. Questo Generale non ti predica soltanto la libertà e l’indipendenza; ma allorquando la mitraglia stende a terra i soldati delle prime file, corre alla testa de’suoi, e grida: Avanti figliuoli, non vi sgomentate, que’cannoni sono nostri, viva VItalia! Così lece ed esclamò il General Pepe a Mestre, e i suoi soldati ne intesero la voce e l’esempio. Sarebbe impossibile descrivere l’attitudine sublime, che prendeva Venezia in quel giorno solenne. Non appena saputo che i nostri uscivano incontro al nemico, una gioia, e si può dir quasi un’ebbrezza, diffonde-vasi nella popolazione. Romperla ancora una volta con l’Austria, e dar fiato alla tromba delle battaglie da Venezia, era il voto ardente di tutti i cuori. Pure alla gioia si mesceva un’inquietudine, una impazienza, una ansietà di sapere^ e di accorrere sul luogo del conflitto. Non che si dubitasse della \iltoria, ma starsene spettatori indifferenti sembrava a tutti un delitto; ma, come vennero le prime notizie, e si seppe ch’era fervente la pugna, ma vantaggiosa per noi, la piazza, gremita com’era di gente, sembrava un sol uomo cui si sollevi il petto, e mandi il sospiro di chi sa alfine appagato un suo voto. Quindi, quasi vergognando di dovei- partecipare al benefizio, senza dividere co5 fratelli il pericolo, affollatesi le guardie nazionali sotto ai poggiuoli del palazzo del Governo (e guardie nazionali sono tulli i validi a portare un fucile), vagliamo batterci: gridarono tutti, guidateci alla pugna, usciamo, usciamo! e una Commissione saliva alle stanze dei governanti perchè fòsse mobilizzata tutta la guardia, e tosto. Nè bastava che il comandante in capo della guardia nazionale, generale Marsich avesse già prevenuti tali desiderii, inviandone a Marghera 500 sotto la direzione del comandante in secondo Zilio Braga-din : che -100 bersaglieri stessero già su quel forte; che altri 800 fossero disposti all’occorrenza e di riserva, ma volevano accorrer tutti senza invilo, senza che il bisogno e il piano della sortita lo richiedessero. E lai T. IV. 31