212 erge,vansi di repente a dividerle le antiche sanguinose muraglie degl’interessi dinastici; i nostri soldati vincevano sempre, ma v’era chi sempre vendea la vittoria, il guerriero entusiasmo della nostra gioventù durava, ma non era che messo a protocollo, e schernito, imperocché si voleva il popolo che avea lottalo co’ barbari, restasse plebe. E si cercava il nemico dove non era; e il pane del povero soldato italiano pascea non di rado il ventre tedesco; e senza vendetta giacevano i nazionali stendardi nella veneziana pianura; e tutti gettavano la maschera — a Firenze s’annullava negli animi la memoria di Ferruccio — il Borbone scannava a Napoli e si preparava a scannare — la politica del Vaticano invitava i popoli, benedicendo, a lasciarsi scannare. Vi giungeste in quel punto, giungeste a tempo di contemplare le sciagure ineffabili della patria. E non avete disperato della nostra salute, perchè la vostra energia non veniva dalle circostanze, dai fatti, da un freddo amor proprio, ma dalle pensate credenze, dall’anima vostra, la vostra spada non essendo che un lampo della vostra coscienza. Poco dopo s’intese d’un esercito sbaragliato, senza esser vinto; si videro generose milizie, battute dalla sete, dalla fame, e più dagli ordini dati, lacere, fuggenti a vergogna non propria; s’udirono barbare grida trionfali che s’avvicinavano e crescevano, serravano intorno Milano. E non avete ancor disperato. Poco dopo Milano cadeva ruggendo, e di quel ruggito sentiva paura chi vendeva e chi comprava; un’infinita moltitudine di soldati e di donne, di fanciulli e di vecchi ingombrava le vie dell’esilio, limosinando e maledicendo; un osceno patto gittava in braccio al Tedesco quel che non avevano ancora saputo perdere, rapiva il fucile a’soldati, rompeva la spada in mano a que’duci che avessero rammentato la patria. E voi, generale, non avete ancor disperato; e, stretta la spada, giuraste di non lasciarla che fatto cadavere; e mentre noi protestavamo in parte contro l’armistizio Salasco, voi avete protestato col sangue. E in nome del popolo genovese, che vuol essere a qualunque costo italiano, ve ne ringraziamo, orgogliosi d’essere vostri concittadini. Noi pure, o generale_, non abbiamo disperato mai della salute d’Italia. L’angelo del martirio presiede alla vita delle nazioni; oggi noi siamo un popolo martire. Le prove sofferte ci hanno fortificato, le non volontarie sventure apersero gli occhi delle moltitudini; noi crediamo che le nazioni sono immortali; è nostra religione di tutto operare col popolo e pel popolo, nè ci sarà data vittoria che a guerra di popolo; aneliamo fra gl’ Italiani una sola legge, come abbiamo una sola patria : le Alpi debbono essere il confine — Roma il cuore d’Italia. Ora la nostra, generale, è veglia sull’armi; accarezzando il fucile, fissiamo lo sguardo per interrogare i pericoli, e avventarci sopra i urinici — Voi giuraste di non abbandonare che morto la terra italiana, quando libera non riesca dalla tremenda lotta; noi giuriamo sulle vostre mani d’essere fidi soldati alla medesima causa. Voi sapete serbare co’fatti le giurate promesse, e noi pure, o generale, terremo la nostra.