163 liberi veramente, e il baluardo contro al quale lia pur che si liacclii l’estremo conato del despotismo. Questo è beneficio solenne! e tanto più grande dacché seppe Venezia deludere vigorosamente il vergognoso armistizio, che sacrificò la Lombardia generosa; beneficio tanlo più grande, poiché la libertà di Venezia è guarentigia all’Italia. Veneziani! il nostro atto di grazie non é segnale di dipartenza. Qui noi restiamo colle migliaia di Militi delle nostre Provincie, che cogli altri di Intla Italia guardano questa rocca fatale: qui siam fermi con voi a resistere ad ogni sforzo nemico: di qua ci allontaneremo quando nell’ebbrezza della gioia dovremo salutarvi per correre ad annunciar libertà agli sventurati fratelli, che non han potuto seguirci. 21 Settembre. DUE PAROLE A CARLO ALBERTO. Voi fin qui non aveste, o Carlo Alberto, ammiratore più appassionalo, difensore di me più caldo. A me pareva che un re, il quale impugni le armi per difendere i diritti dei popoli e la nazionale indipendenza, fosse cosa così superiore all’ordinario, che io non potei negarvi tutta la mia ammirazione e gratitudine. E quando dopo la cessione di Milano la voce pubblica vi gridò traditore, io vi difesi, e vi credetti piuttosto un re sfortunato e tradito, perocché parevami impossibil cosa che aveste voluto con un tradimento distruggere quell’aureola di gloria che cingea il vostro capo per imporvi un serto d’infamia, e che aveste voluto gittar lungo da voi quella gloriosa corona lombarda che i popoli vi avevano offerta e che già vostra era. Pesano però su voi gravi imputazioni che noi vorremmo sentir dichiarate false ed ingiuste. Esaminiamole. Dicono che appena scendeste sul campo ebbero principio le vostre frodi, perocché, mentre il tedesco abbattuto, avvilito l’uggia con disordini-, e poteva essere con pochi colpi sconfitto e cacciato dalle terre italiane, voi vi arrestaste e condannaste il prode esercito vostro all’ inazione, intanto che il nemico rannodavasi e facevasi forte. Nessuno vorrà at-fermare che ciò non sia vero, ma questo infausto partito, se non erro, venne a voi piuttosto consigliato da viste ambiziose che dal disegno di abbandonare quella causa che avevate preso a difendere. Voi volevate che la Lombardia, costretta dalla paura, si sottomettesse prima al vostro dominio; si sottomise, ed allora cominciaste la guerra con energia. Venezia che fu più ostinata, non ebbe da voi difesa, e lo sanno i valenti soldati nostri che furono da voi abbandonali sempre senza soccorso sul suolo veneto. Sulla speranza però che questa gemma ancora s’intrecciasse alla vostra corona, pugnaste con ardimento e valore sui piani lombardi, e commetteste la famosa battaglia di Coito nella quale l’esercito italiano e voi, vi copriste di gloria immortale. Quella vittoria fu l’ultima, e dicono che da quell’epoca ebbe incominciato il vostro abbandono della causa italiana. Vide l’Austria che il pieno trionfo delle armi italiane non era più dubbio, e ch’essa avrebbe dovuto sgombrar fra breve da quel terreno su cui da