377 IL PROFUGO CANTO DI AUGUSTO ZAGNONI. Ei va solo per 1’ arduo suo calle E guadagna la vetta d’ un monte, Il fardello gli grava le spalle, Il sudore gli bagna la fronte. Sulla faccia s,i bella e sparuta Splende l’ira dei liberi dì ; È il figliuol d’ una terra venduta Che un codardo mercato fuggì. Quando scosse la fulva criniera Un Leone ruggendo dai forti, Quando insorse la bella Guerriera A redimer la terra dei morti, Un pugnale gli diede sua madre, La sua vergine un fior gli donò, E fra il grido dell’ itale squadre, Ei col ferro ed il fiore volò. Il suo grido fu il nome di Pio; Cinto allora d’ un libero serto Egli amava il Profeta di Dio San Giovanni del nostro deseito, Con quel nome nel core fidente Ruppe 1’ orde dei lurchi stranier, Con quel nome sul labro morente Yide i prodi fratelli cader. Quando pesano I’ ombre sul mondo, 0 fatai Sacerdote, non odi Delle madri il lamento profondo, La tremenda beitemmia dei prodi ? Non ti senti il luo sacro diadema Sulla povera testa tremar? E il tuo nome mutato in blasfema Ai banchetti Tedeschi sonar ? Questo giovin che geme dal core, La sua madre che invano 1’ aspetta, La sua vergin che langue d’amore Sul tuo capo già gridan vendetta ; Ma è vendetta solenne, severa, Invocata da un popol che muor; La tua croce la croce non era Del Figliuolo del nostro Signor. Pur ti resta, o potente di Roma, Se pentito rineghi il passato, Un allór per la sacra tua chioma, Un battesmo pel grande peccato : Questa bella coperta d’ oltraggi, Questa bella che vinta non è, Oh sui sette tuoi colli la traggi, Nazzareno d’ Italia, con te. Sorgi, o Prete, la croce divina Leva e tali il luo bianco destriero, Teco un vulgo che ha fame trascina, Teco 1’ onda del popol guerriero. Qual mai scena più santa, solenne D’un nepole di Cristo che va A redimer dall’onta trentenne Gl’ infelici di cento citlà ! Ma tu ridi dal sacro tuo colle Circondato da torbidi preti; Sempre illuder 1’ Italia si volle, Sempre credere ai falsi profeti. Ne’ trofei generosa, sublime Premia i Giuda di facil perdon, E se il lutto di nuovo 1’ opprime, La sua fede nei Giuda ripon. O fatata regina, raminga, Ammaliata da regio splendore, Carezzata da un’ empia lusinga Hai venduto un tesoro d’amore. Copri ancora le forme divine, Ancor bella e maliarda tu se’; Va ed ascendi per 1’ ampie ruine Nuovamente al guanciale dei re. Ma una voce l’orecchio mi fiede, Una voce che viene dal monte. n Maledetto chi perde la fede, Chi al cadavere copre la fronte. Il pugnale assassino non scese Fino all’elsa nel povero cor; Sospendete la nenia scortese, Quel cadavere palpita ancor, « E’ la voce dell’esul che serba Ancor tutta la fé de’ vent’ armi, Che solleva la fronte superba Tra gli schiavi de’ nostri tiranni, Ei va solo; a’ suoi cari defunti Mestamente volgendo il pensier, Perchè ancora non siamo congiunti Ei va solo, in Italia stranier. Sente il grido dei mille fratelli Che un guanciale dimandano indarno ; Infamati, scherniti a Vercelli, Perseguiti sul Tebro, sull’Arno. Sente intorno una sorda minaccia, Sente il gaudio d’un motto villan, E il rossore gli sale alla faccia E al pugnale gli corre la man.