Il generale Olivieri chiedeva che gli venisse lasciato libero il passo per recarsi da Radetzky ad annunciargli che la capitolazione non era accettata. Si offriva l’ingegnere Susani di accompagnarlo; il popolo voleva che a lui si unisse altra persona. Al generale Olivieri non andava a grado la compagnia dei due testimonii, e fu detto che di codesta missione era stato incaricato un ufficiale. Ma nessuno, per quanto se ne sa, fu mandato a Radetzky. Fu crudele inganno il rifiuto della capitolazione e la promessa di voler difendere la città. Più tardi il Podestà, il Presidente della Congregazione provinciale e 1’ Arcivescovo si portarono da Radetzky, e ne ottennero la prolungazione del periodo utile per i cittadini di uscire dalle porte fino alle ore otto della sera del giorno successivo. La fatale catastrofe era compiuta. Il re e la sua Camarilla volevano dar seguito alla capitolazione, qualunque pur fosse il dissenso dei cittadini. La resa di Milano era condizione ai patti stipulati per le proprie truppe. Egli doveva mettere la Porta Romana in possesso di Radetzky, e ne rispondeva della esecuzione il suo esercito di quaranta mila uomini e cento pezzi di artiglieria. La città, resistendo, doveva passare per gli orrori della guerra civile, contro il re e le sue armi prima di combattere Radetzky. La posizione era disperata. Fino allora l’ordine aveva regnato nella città; le truppe, la Guardia nazionale, i cittadini erano al loro posto, pronti alla difesa. Ma quando si riconobbe che la capitolazione doveva essere inevitabilmente eseguita, subentrò l’anarchia e la dissoluzione. Tutti smarriti, tutti vaganti per la città, senza sapere dove si dirigessero: tutti attoniti al miserando spettacolo di un esercito valorosissimo che si ritirava, quasi senza colpo ferire, davanti a un nemico tante volte da lui messo in fuga, e allo spettacolo ancor più lagrimevole di una eroica città alla quale era imposta una umiliante capitolazione, mentre era disperatamente deliberata a rinnovare le glorie del Marzo. Quando i cittadini videro impossibile la resistenza, emigrarono in massa. Più di cento venti mila persone, i tre quarti della -popolazione, si sparsero esuli fuori dal territorio lombardo !! Mai non fu visto uno spettacolo di si commovente, austera solennità, uno spettacolo cosi eminentemente nazionale! La storia terrà conto a Milano di così sublime protesta eontro il tradimento di Carlo Alberto e contro il giogo straniero! Un centinaio di cittadini smarrirono la ragione in quei momenti nefasti ! Chi crederà, dopo i fatti che colla più scrupolosa esattezza abbiamo narrato, che il re abbia avuta l’audacia di dire c di ripc- 59 tcre dal suo quartiere generale di Vigevano, nei proclami dei giorni 7 e io del corrente mese, che Milano mancava di denaro e di sufficienti munizioni di guerra e di bocca per difendersi? Chi crederà che Carlo Alberto, perfino in contraddizione al suo proclama del giorno sette, diretto ai suoi amatissimi popoli, nel quale espone che esso, e non i Milanesi, ottenne mediante una convenzione di salvare Milano e T armata ; chi crederà chc Carlo Alberto nel posteriore proclama del giorno dicci abbia spinta la menzogna fino ad asserire che la capitolazione fu da lui soltanto iniziata, e che fu dai Milanesi medesimi proseguita e sottoscritta ? Non ha forse lo stesse re veduto l’ardore, non ha forse lui stesso, il re, veduto il furore da cui era animato il popolo per la difesa della città, l’indignazione generale all’annunzio di una capitolazione? Non fu esso stesso fatto prigioniero dal popolo che lo voleva ostaggio onde la capitolazione non seguisse? Che se tre membri del Corpo municipale furono cosi deboli di aderire ad una capitolazione, già pur troppo conchiusa senza il loro intervento, ed alla quale non hanno del resto preso parte che per migliorare la condizione dei cittadini, non c lecito, senza ledere vergognosamente la verità, l’allegare che i Milanesi o soli od uniti al re l’abbiano continuata e sottoscritta. Chi dirà che quei tre membri del Corpo municipale avessero mandato di legale rappresentanza dal paese? Chi dirà che essi fossero l’eco fedele delle sue opinioni se osarono aderire ad una capitolazione in faccia all’apparecchio guerriero di una città folta di barricate e in mezzo alle dimostrazioni più violente per rinnegarla? E quando ogni altro mezzo riuscì a vuoto, il popolo milanese protestò di nuovo contro essa, emigrando in massa. Era un’emigrazione nuova e sorprendente di persone di tutte le età, di tutti i sessi, di tutte le condizioni; famiglie povere che si traevano dietro a sè i propri fanciulli, madri che si portavano in collo i bambini, popolani ruvidi e scarsi di fortune, che forse per la prima volta abbandonavano la nativa città. Gli stessi soldati piemontesi, commossi, generosi, si prestavano al pietoso ufficio di togliersi sulle spalle i fanciulli, che non potevano reggere alla fatica del lungo viaggio! Or vedasi se Carlo Alberto può accusare Milano di complicità, accusare una cittadinanza a cui egli medesimo ha procurato tanti patimenti e tanta sventura ! A migliaia, specialmente dall’ alta Lombardia, dal Lago Maggiore, dal Lago di Como, dalle Valli Subalpine, dalla Bvianza, dai Distretti di Luino e di Varese, accorrevano sopra Milano gli armati della leva in massa: ma sì tosto il fatale annunzio della capitolazione si sparse nella campagna, quelle generose bande si sono, fremendo, disperse. E