493 Questo precetto di morale e di civiltà sentirono, c perciò attuarono mirabilmente gl’italiani nella presente guerra, di sovvenire all’avversario caduto; e la storia dell’umanità, notandone i titoli, dirà del pari se il nemico ci possa stare di fronte in sì nobile gara. All’appressarsi del Generale « dei socii ai letti degli stranieri feriti, parve a questi di scorgere altrettanti angeli confortatori; ed uno, ch’era Valacco, levandosi a sedere, tentò e riuscì di strìngere tra le sue mani quella di Pepe, nè potè temperarsi dal tributargli un senso di ammirazione, prorompendo in questi accenti: Generale, voi foste bravo, davvero bravo; ora siete buono, buono davvero. Delti questi, che appalesano come le più rozze indoli sieno naturate a virtù ed accessibili alle più soavi emozioni: dimostrano pure che, se le barriere del despotismo verranno, coinè voto dell’umanità, atterrate, i popoli, che sono ora i più avversi tra loro, si stringeranno in quell’alleanza che non si spezza: l’alleanza del cuore. Sì, gli stessi Croati, per divenirci fratelli, non hanno che a passare le Alpi. CHIAMATA ALL’ ITALIA. Il National del 20, ieri qui giunto, fa all’Italia la seguente chiamala, che Venezia ha già prevenuto, e che sarà senza dubbio ascoltata dall'intera penisola : La rivoluzione d’Ungheria e di Vienna è già conosciuta in Italia. Codesto grave avvenimento cangia tutt’affatto la condizione delle parli belligeranti. La villoria popolare sulle rive del Danubio, annienterà, sol che si voglia e sappiasi approfittarne, la vittoria monarchica sulle rive del Po. La è una di quelle occasioni, che convien afferrare nel suo veloce passaggio; e gl’italiani l’afferreranno, se hanno odio per la dominazione straniera, amore per la lor bella patria, ed il bisogno d’associarsi al movimento di rigenerazione democratica, che travolge l’Europa. Il coraggio è tutto nelle grandi commozioni politiche; e tal coraggio muta luogo dì subito per la buona notizia, che ghigne dal prode popolo ungherese e dalla generosa capitale dell’Austria: ci vien meno ne’vincitori, si ravviva ne’vinti. Radelzky, senz’avere perduto ancora nè un soldato nè un cannone, non è più quello, dinanzi il quale ha capitolato, non si sa troppo bene il perchè, il re Carlo Alberto. Tulli i suoi proponimenti, tutti i suoi disegni diventano incerti, pel solo fatto dell'incertezza in cui si avvolge la politica e la sorte del suo imperatore. La sua base d’operazione è scrollata; i suoi mezzi sono inariditi; i suoi rinforzi posti in compromesso; e, soprattutto, poiché il partito, ch’egli ha servito contro gl’italiani, soggiace ora nelle mura di Vienna e di Pesi, ci resta, per valerci d’ima espressione militare, in aria, fra una popolazione nemica ed il suo esercito profondamente turbato. In fatti, quell’esercito contiene un elemento, di cui egli non può far più capitale: cioè i reggimenti ungheresi. Que’reggimenti ben sanno già ciò che succede in casa loro, fra’loro compatriotli ed i Croati, capitanati da quelUaltro Radetzkv, il bano Jellacic; in breve, e’saranno avvertili dai capi del loro governo di rifiutare obbedienza all’alleato del Generale,