83 bile, e ninno ha voglia di porsi in viaggio. Oh ! se io scrivessi nella lingua de’miei pensieri per comunicare all’anima di coloro che mi leggeranno una parte della compassione e del dolore che mi oppressane» il cuore, pur senz’abbatterlo ! Per uscire dalle angosce in cui la Francia si trova, le è necessario un atto di generosità e di coraggio. La politica del dubbio mette capo all’incredulità, e finisce coll’andare in balia d’ogni vento. La sola benevolenza fra le grandi cose; senz’ essa ogni sforzo è come un germe in arida terra. La Francia non ha a sfoderare la spada; basta che ne faccia udire lo strepilo nella guaina perchè il nemico ne sia percosso. Credete fermamente che potete salvarci, c ci salverete. Verrà tempo, in cui bramerete per vostro vantaggio di venire in aiuto nostro, e uon potrete. Non consentile che sotto la Repubblica si faccia una parodia amara del detlo d’un re, e si esclami: Tout est sauvé hors Vhotineur. Dico alla Francia, dico all’Inghilterra: Sarebbe una vergogna per la specie umana lasciar pesare nella bilancia dei destini d’un popolo la spada d’un Brenno decrepito. La nostra causa è la causa vostra. Soccorreteci nel nostro pericolo, o perirete. --C ------ •arnsiAm m La legione italiana,, raccolta sotto il vessillo di Garibaldi, fece strage un’altra volta degli Austriaci a Ogliate, a Laveno ed a Ternate. Molti carri di feriti furon veduti entrare in Milano e in Como, benché sia costume degli Austriaci di nascondere con ogni più gelosa cura i loro morti e i loro feriti. A Ternate, benché si trovassero circondati dalla divisione del generai D’Aspre, composta di 18,000 uomini, i valorosi legionarii si scagliarono sugli Austriaci, e dopo aver esaurite tutte le munizioni fecero impelo colla baionetta, e in ultimo si batterono petto a petto coi coltelli. Restarono vincitori ancora una volta gl’italiani, ma co« gravi perdile. Nella nolle aspettava Garibaldi la colonna del colonnello Fabrizzi, composta di 800 uomini, e riceveva in vece la notizia che Fabrizzi, contro i suoi ordini e contro ogni aspettativa, aveva capitolato. Allora Garibaldi dovette ritirarsi, coi quattrocento prodi che gli rimanevano, per la via della Tresa, e ridursi a Lugano, d’onde a quest’ora avrà passalo il Monte Cenere per raggiungere la piccola colonna, che ancora gli rimane in vista di Luino, sopra i vapori ancorati fra i due castelli di Canero. Ripetevasi a Locamo, nella mattina del 29, che il generale dovesse nello stesso giorno recarsi ad Ascona per deliberare sulla continuazione delle ostilità, ed era pubblica opinione che non avrebbe deposla la spada, finché non gli avessero tolta la vita. Giova quindi sperare che, finché duri l’armistizio dei gabinetti, non cesserà l’armata protesta dei popoli. È doloroso a dirsi come, sulla costa piemontese del Verbano, le truppe si raccogliessero a battaglia ogni volta clic si mostravano i vapori a qualche distanza, e come si negassero vettovaglie ai militi di Garibaldi, mediante pagamento, nell’alto che da Intra se ne fornivano in copia