214 feste le vostre feste; austeri o vezeosi, a seconda dell’oro, risonando nella spada ò ne'sproni, passeggiaste le nostre piazze e le \ie, vi allogaste ne’nostri teatri; mangiaste del nostro pane, beeste del nostro vino, e ci rimaneste stranieri: non le sole lagrime della storia \i distinguono e accusano a ogni popolazione italica; ma e gli occhi vostri e le chiome e l’idioma e il sorriso e il portamento e il lignaggio fortemente scolpilo nel volto: come, ne’nostri monti, dagli'altri innumeri vertici, stan distinti in eterno i vertici arsi dal fuoco del cielo. Dal dì che prima, involali alle nebbie e alle nevi natie, veniste tra noi, da quel dì sino ad oggi, siete forse a noi, anche solo un poco, men lontani^ men isolati, men nuovi? Se la vicenda della sorte e dell’armi vi costringa domani a cercare il cammino delle cilladuole e de’villaggi materni, dile, qual cosa, clic non sia nostra, ci avrete lasciato? Il più che duri, sarà il giallo c il nero, di cui furono da’primi anni conli ¡stati i nostri occhi, usi e desiosi in perpetuo del vivo verde de’nostri colli, e de’candori e de’rossori del nostro ineffabile cielo. Piè già vi odiamo; o odiamo il vostro paese: ma amare, amare supremamente non può l’uom che i fratelli e la terra medesima sua. Siamo di politica austriaci^ dico per leggi e per armi: si am oggi austriaci; ma delle più accese nostre memorie, de’noslri amori più santi, più grandi, delle nostre gioie, de’nostri lutti, di tutta quanta l’anima nostra, siamo italiani, italiani. Da Genova a Messina, da Genova a Venezia, voi tutti, che combattete o piangete, siete nostri fratelli del cuore. Voi empite le nostre veglie, sedete primi, sedete soli nel nostro pensiero. E ne’sogni, vìve e verfe, quali le abbiam conosciute, ci passan davanti le vostre sembianze; e vi chiamiamo, e vi protendiamo con affanno le braccia. Per voi, o cari, apprendiamo a pregare ai tìgli nostri innocenti. Se un'orrenda parola vi giunse di noi,, se gl'iniqui simularono la nostra voce, fratelli, ditela falsa: questa, questa è la nostra. Meditiamo e meditammo le vostre angosce come cosa nostra, le lagrime de’ vostri occhi son lagrime degli occhi nostri medesimi» Che cuor, Milano, fu il tuo, quando l’altr’ieri udisti solinga dalle vuote tue case il passo degli allegri vincitori vestiti a festa, e ti fu detto che sulle tue torri e i bastioni si gonfiavano al vento e svolgevan superbe la coda le lor rifatte bandiere! quando il clangore dell’armi brandite e posate e il ronxor dei tonanti cannoni ti richiamò a più infocate lagrime e ti annunziò pagato il prezzo del sangue! Ma alrnen tu, e le tue sorelle, sappiate che si piange per voi anche fuori del vostro ricinto; che anche qui, come il dovere politico cel comporta più, anche qui, o infelici, si piange per voi. I Tedesehi fecero di tutto per comperarsi a Trieste il posto di deputati municipali, onde intedescare affatto il Municipio. Ora, ecco come parla su ciò la Gazzetta di Trieste: Sappiamo che i Triestini nel loro comune, nel santuario della loro città, in proporzione de’forestieri, non dico sederanno, ma possono sedere, quasi appena come una piccola, come una debole frazione. A’cittadini che resta? Invasi, dà altri che essi, i pubblici uflicii, le pubbliche scuol»; signoreggiato il pensiero civile da un’altra lingua che la loro; pasciuti degli odori ch’escono dalla cucina altrui, son essi soli, i fore-