Ili) forlitnnlo quell’entusiasmo sarebbe inutile cosa: parlano eloquentemente per noi le orde tedesche cacciate dalle nostre ciltà e racchiuse nei covi fortificati, i campi illustrati dal nostro valore, quelle schiere di tòrti gio-vani convenuti da tutta Italia nelle pianure lombarde a combattere la guerra santa dell’indipendenza italiana. Ma se tutti concorsero alla grande opera nazionale, se ciascuna parte della penisola ( favoreggiante od opponente il proprio governo) non badò a sagrilicii pur di raggiungere la meta dei secolari desiderii, è però lecito il dire, che noi abitatori delle provincie venete non fumpfo da meno degli altri, noi premuti più da vicino dallo straniero, primi nel caso di rovescio a provarne la calcolala vendetta , noi non aventi alcun esercito regolare che ci guardasse alle spalle , noi costretti a difendere tanti sbocchi delle Alpi vomitanti ogni giorno una nuova maledizione di armati. Infatti Padova, a vendicare il sangue de'freschi assassinii, fino dagli ultimi giorni di marzo chiamava all’armi i suoi figli, e creava il primo •li que’corpi franchi, cui, se talvolta mancò la fortuna, non venne mai meno il valore, corpo clic unito a quelli tosto composti delle altre provincie, combattè a Sorio per un’intera giornata innanzi di cedere contro una truppa disciplinata e quattro volte maggiore; il Friuli minamato a settentrione, aperto a levante, vide una forte armata avvicinarsi peritosa ai proprii contini, scontrarsi a Visco in pochi gagliardi e vincerli asiento, e respinta dalle ben munite fortezze, avvicinarsi grossa a Udine^ che cedeva sopraffatta dalla lotta ineguale e disperante di vicino soccorso. Intanto i nostri volontarii, raccolti in sul Piave, e rafforzati dai fratelli pontilicii, ritardavano l'inoltrarsi del nemico, e lo combattevano vigorosamente a Cornuda, e lo respingevano dalle mura dell’eroica Treviso, che uscita vittoriosa da un primo formidabile attacco, ebbe uopo, ad esser vinta, d’un nuovo sforzo e di un’armata seconda. Ma, se altro non fosse, basterebbe alla gloria delle venete terre e alla grandezza della guerra italiana la difesa magnanima di Vicenza , la quale per ben tre volle respinse e macellò gli abborriti Tedeschi , e sostenne per la quarta con diecimila combatlenti l’urlo di più che trentamila soldati e di oltre 400 cannoni, ed attaccata al monte ed al piano , minacciata di rovina e di incendio, protestava non contro l’opportunità, ma contro la slessa necessità della resa, mentre i suoi difensori, stanchi di rigettare dalle barricate un’onda sempre crescente di barbari, montavano, per meglio ferire sopra di quelle, e nudi d’ogni riparo continuavano a combattere fra la tempesta delle palle e della mitraglia. Della quale intrepidezza non ci difettano nuche altrove gli esempi; imperciocché i nostri bravi alpigiani del Bellunese e del Vicentino con cattive armi e con radi cannoni, ignari d’ogni ai'te guerresca , e privi perfino di capi che li dirigessero , difesero per ben tre mesi le gole delle nostre montagne, opponendo il petto dove la natura aveva spaccale le rupi, riducendosi in alcun luogo per le lolle comunicazioni a nutrirsi d’orzo fradicio, e cedendo alFAustriaco, quando mancò la polvere e il pane. Lasciamo da canto il narrare de* prestiti volontarii, delle case incendiate, dei campi devastati, dei saccheggi patiti, delle continue e ladro