f>0 certamente al dissotto del vero l’aflprmare che ben cinquantamila armati erano in cammino per piombare sopra Milano, di cui la maggior parte erano già alla distanza di poche miglia dalla città. Anche il generale Garibaldi con cinque mila uomini e due cannoni era già vicino a Monza, quando gli giunse la notizia della capitolazione. Notisi poi che ad alcuni Comitati, nei due giorni antecedenti, era stato contrammandato l’ordine della leva in massa, c ciò certo contro le istruzioni del Comitato di pubblica difesa; contr*ordine di cui s’ignorano completamente e l’origine e lo scopo. Molti pensano che il sacrifizio di Milano non siasi compiuto sotto le sue mura : ma che già prima fosse di lunga mano consumato. Noi esporremo francamente la nostra opinione ed i motivi ai quali la crediamo appoggiata. Noi crediamo che il sacrificio di Milano, anzi di tutto il territorio Lombardo-Veneto c dei Ducati, sia stato concertato dal re e dai suoi cortigiani subito dopo la sconfitta di Som-macampagna e Gustoza, e che quindi la ritirata sopra Milano non sia stata che un mezzo per attuare tale turpissima combinazione. Che che ne sia stato detto, oramai, dopo che sono venute in luce le ritrosie del re e della sua Camarilla Gesuitica intorno all’intervenzione francese, perfino nei momenti in cui le infelici sorti delle armi Italiane la reclamavano altamente, urgentemente, appare ben chiaro, che quando Milano inaugurò colla propria liberazione la guerra della indipendenza, il re Carlo Alberto intervenne col suo ejercito nella lotta, non già soltanto per volersi fare esso od i suoi figli i campioni della causa d’Italia, ma principalmente per impedire che nelle Provincie Lombardo-Venete s’ inalberasse la bandiera repubblicana, e non venisse addomandato il soccorso dei Francesi, che avrebbero invincibilmente piantata nel paese quella bandiera. 11 bando disinteressato, col quale Carlo Alberto entrò sul territorio Lombardo, non era sincero. Egli aspirava ad unire ai suoi stati anelli le Provincie Lombardo-Venete ed i Ducati, c lo voleva nel più breve termine possibile. Lo prova l’indirizzo del conte Martini del giorno 6 aprile, a suo nome diretto ai Governi provvisorj di Lombardia, di Venezia e dei Ducati, col quale veniva espresso positivamente l’invito per V immediata convocazione dell’ Assemblea Nazionale; lo prova la sua condotta militare verso la Venezia, retta nei primi mesi a forma repubblicana, lasciala sempre senza difesa, perchè, nella speranza di un ajuto piemontese, s’inducesse più facilmente all’ immediata fusione. Lo provano le mene insistenti dei Ministri che circondavano il re, la condotta dei suoi inviati nelle città che voleva aggregare aliasi!?/ corona. 11 progetto è riuscito. Tutte le Provincie Lombarde, tutte le Provincie Venete, tutti i Ducali votarono per 1’ unione col Piemonte sotto la condizione, tranne questi ultimi, di una nuova costituzione da stabilirsi da una Assemblea costituente, eletta sulla base del voto universale. Operata la fusione, sembrava che l’interesse personale, 1’ intercise dinastico, 1’ amor proprio, 1’ ambizione del re lo dovessero calorosamente spingere a liberare al più presto dallo straniero la terra italiana. Crediamo che il re abbia operato di buona fede nei fatti della guerra fino alla sconfitta del giorno a 5 luglio. Crediamo che fino allora non vi sia stata che una grande imperizia. L’ esercito era valorosissimo ed i suoi generali ammirabili per incapacità. Dopo la sconfitta vediamo il tradimento. Se non che dobbiamo tener conto di alcuni fatti importami avvenuti in questi quattro mesi di guerra, che rilevano quelle intime tendenze che, nei momenti della sventura, si tradussero in tradimento aperto. V’ era un partito forte nel Piemonte, e ve n’ era uno degli stessi principi! non meno forte all’esercito, rappresentato dall’alto Stato Maggiore e dai Consiglieri che circondavano il re, a cui la condizione, apposta dai Lombardi per 1’ unione col Piemonte, la condizione cioè della nuova costituzione formata da un’ Assemblea eletta col voto universale, metteva paura. Era il partito retrogrado-gesuitico ; e gli uomini che ad esso appartenevano, se non contrariarono, non favorirono almeno il sollecito scioglimento della grande quistione italiana, che nella loro opinione doveva inaugurare una nuova èra di temuta libertà. Le scandalose discussioni, seguite alla Camera dei deputati di Torino, c le scissure ministeriali sul progetto della legge di unione furono per tutti i buoni di ben triste augurio per 1’ avvenire della libertà italiana. Al campo non si seppe, anzi non si volle trarre il dovuto partito dai volontarii , da questo generoso elemento della rivoluzione. Non furono essi abbastanza appoggiati dal-1’ esercito, furono trascurati, anzi compromessi in posizioni difficili in cui era quasi impossibile una efficace resistenza. Nei volontarii era 1’ elemento repuLblicano, male accetto quindi allo Stato Maggiore del re , benché avessero in ogni scontro dimostrato molto coraggio personale nell’affrontare c battere il nemico. Intanto la guerra veniva trascinata in lungo per influenza principalmente del partito retrogrado, rimasto in Piemonte ed esistente al campo, che voleva ritrarsene per trincerarsi in casa propria dietro il baluardo dei vecchi privilegi e della propria supremazia, compromessa altamente dal nuovo ordine di cose. V’è chi assicura che anche prima dei fu-